Non potete immaginare cosa vuol dire
essere sola. Anzi, il mio non è “essere sola”. È qualcosa di peggio, di più
subdolo e maligno. D è nell’altra stanza. È sempre nell’altra stanza.
«Sono quasi le due!» gracchia. Smetto
di scrivere.
Faccio la doccia.
Mi sento diventare
Insopportabilmente
GRASSA.
Cerco di non pensarci, di non
guardare la mia figura a forma di fragola nel riflesso dello specchio. Concentro
la mente su qualcos’altro. Indosso un reggiseno nero con un bottoncino davanti,
le mutandine lilla e i calzini rosa in accordo con i colori della maglietta di
Alice.
Adoro “Alice in Wonderland”. Che lei
sia bionda o bruna conta poco, persa nella Selva Oscura. Il Gatto ghigna
demoniaco. Sotto la t-shirt ho un lupetto nero a collo alto, sopra un golfino –
in caso facesse caldo in biblioteca.
«Oggi dobbiamo di nuovo uscire?» D
sembra infastidita, eppure io glielo avevo detto già la settimana scorsa,
quando abbiamo rivisto il planning.
E poi non sa quanto è importante per
me avere degli impegni fuori, Illudermi
per un po’ di avere una vita quasi normale? «Sì c’è il gruppo di lettura in
spagnolo» Sono entusiasta del poeta nippo-peruviano che si presenterà questo
pomeriggio, ma sondando il terreno ho capito che è meglio una risposta
laconica. E comunque è più forte di me: ci provo. «Ho iniziato il libro
scandinavo che ci hanno regalato ieri. Sembra interessante. Non so se lo hai
sfogliato» «No» La conversazione cade e io credo non valga la pena
raccoglierla.
Finisco di mangiare in silenzio,
sentendo il cibo che si deposita in accumuli. È odioso.
Qualche giorno fa mi sono tagliata i
capelli mentre stavo davanti al computer. Guardavo un film e mi annoiavo.
«Ti sei di nuovo rovinata! Bisogna
proprio odiarsi. O essere stupidi» D la fa sempre più grande di quello che è, e
diventa offensiva. Ha una passione per la teatralità e sono convinta che non mi
tolleri. Amava l’idea di avere una figlia e protegge strenuamente il suo
ideale, ma non me.
Però sono felice che ieri si sia
trovata bene alla riunione del Club dei Lettori e che poi abbia invitato la
signora Viviana a prendere un tè al bar. Io ho bevuto mezzo succo. Avrei dovuto
pensare a usare il mio misurino, ma l’ho dimenticato e mi sono fidata dell’occhio
di Cassie (che intanto era tornata in sé). Risultato: venti millilitri in più e
un aggiustamento nei conti, ma sono contenta di aver agito concedendomi una
piccola libertà non prevista.
«Oggi dobbiamo uscire di nuovo?»
aveva chiesto D a tavola, mentre continuava a trafficare senza fermarsi. È un
caso che questo periodo sia stato pieno. Scorro con orrore le pagine dell’agenda
scoprendo buchi clamorosi che colmerò con l’ennesimo film, qualche puntata di
un anime, righe e righe macinate in moduli d’attenzione di un’oretta.
Anche questi sono piccoli traguardi. Innanzi
tutto fino a poco tempo fa non reggevo più di mezz’ora immersa nella stessa
attività – come se il mio cervello si fosse fuso per lo shock del dolore al
bacino, o per lo stress psico-patologico di una situazione che non mi
apparteneva; e poi – e questo è più importante – sono diventata più forte,
capace di accettare messaggi come “Scusa Liz ma non riesco a passare da te”.
Fa ancora male (Liz è muta), ma
incasso il colpo e vado avanti con un bel respiro.