sabato 30 gennaio 2016

STRONGER AND STRONGER


Non potete immaginare cosa vuol dire essere sola. Anzi, il mio non è “essere sola”. È qualcosa di peggio, di più subdolo e maligno. D è nell’altra stanza. È sempre nell’altra stanza.

«Sono quasi le due!» gracchia. Smetto di scrivere.

Faccio la doccia.

Mi sento diventare

      Insopportabilmente

                 GRASSA.

Cerco di non pensarci, di non guardare la mia figura a forma di fragola nel riflesso dello specchio. Concentro la mente su qualcos’altro. Indosso un reggiseno nero con un bottoncino davanti, le mutandine lilla e i calzini rosa in accordo con i colori della maglietta di Alice.

Adoro “Alice in Wonderland”. Che lei sia bionda o bruna conta poco, persa nella Selva Oscura. Il Gatto ghigna demoniaco. Sotto la t-shirt ho un lupetto nero a collo alto, sopra un golfino – in caso facesse caldo in biblioteca.

«Oggi dobbiamo di nuovo uscire?» D sembra infastidita, eppure io glielo avevo detto già la settimana scorsa, quando abbiamo rivisto il planning.

E poi non sa quanto è importante per me avere degli impegni fuori, Illudermi per un po’ di avere una vita quasi normale? «Sì c’è il gruppo di lettura in spagnolo» Sono entusiasta del poeta nippo-peruviano che si presenterà questo pomeriggio, ma sondando il terreno ho capito che è meglio una risposta laconica. E comunque è più forte di me: ci provo. «Ho iniziato il libro scandinavo che ci hanno regalato ieri. Sembra interessante. Non so se lo hai sfogliato» «No» La conversazione cade e io credo non valga la pena raccoglierla.

Finisco di mangiare in silenzio, sentendo il cibo che si deposita in accumuli. È odioso.

Qualche giorno fa mi sono tagliata i capelli mentre stavo davanti al computer. Guardavo un film e mi annoiavo.

«Ti sei di nuovo rovinata! Bisogna proprio odiarsi. O essere stupidi» D la fa sempre più grande di quello che è, e diventa offensiva. Ha una passione per la teatralità e sono convinta che non mi tolleri. Amava l’idea di avere una figlia e protegge strenuamente il suo ideale, ma non me.

Però sono felice che ieri si sia trovata bene alla riunione del Club dei Lettori e che poi abbia invitato la signora Viviana a prendere un tè al bar. Io ho bevuto mezzo succo. Avrei dovuto pensare a usare il mio misurino, ma l’ho dimenticato e mi sono fidata dell’occhio di Cassie (che intanto era tornata in sé). Risultato: venti millilitri in più e un aggiustamento nei conti, ma sono contenta di aver agito concedendomi una piccola libertà non prevista.

«Oggi dobbiamo uscire di nuovo?» aveva chiesto D a tavola, mentre continuava a trafficare senza fermarsi. È un caso che questo periodo sia stato pieno. Scorro con orrore le pagine dell’agenda scoprendo buchi clamorosi che colmerò con l’ennesimo film, qualche puntata di un anime, righe e righe macinate in moduli d’attenzione di un’oretta.

Anche questi sono piccoli traguardi. Innanzi tutto fino a poco tempo fa non reggevo più di mezz’ora immersa nella stessa attività – come se il mio cervello si fosse fuso per lo shock del dolore al bacino, o per lo stress psico-patologico di una situazione che non mi apparteneva; e poi – e questo è più importante – sono diventata più forte, capace di accettare messaggi come “Scusa Liz ma non riesco a passare da te”.

Fa ancora male (Liz è muta), ma incasso il colpo e vado avanti con un bel respiro.

 

mercoledì 6 gennaio 2016

TINY DREAMS


Mi sento inutile. Vuota. Un peso.

Morto.

Qual è lo scopo?

Scrivere? Perché?

Se oggi non servo a nulla e domani neppure.

Ieri la mattinata è stata difficile,

ma Cassie era gentile: «Ti porto io a fare un giro»

 

Uscire. Fuori c’è un altro universo.

Assaporo il mondo in un modo che non avevo mai sperimentato. E non importa che siano i soliti posti conosciuti perché hanno un sapore nuovo di scoperta. (Abbandono l’invidia per i miei “amici” virtuali che se ne vanno in vacanza in Australia o in Giappone: adesso ha senso persino un sogno tanto ridicolo da essere contenuto in un fazzoletto, o nel lasso di qualche fermata di bus).

Per un momento sono felice. Lo spazio esiguo di tre ore.

Poi – certo – ripiomberò nell’abisso che mi contraddistingue, fatto di stanchezza.

E di paranoie.

Chi m’impone i ritmi che mi sono fissata? Un libro da 970 pagine è una sfida, una scalata per riempire il tempo. Se dovessi dipanare la trama davanti ai vostri occhi, probabilmente non ci riuscirei; ma l’orologio scorre via e questo basta.

Perché in questi giorni nessuno bussa alla mia porta? Tanto dimenticata che resta solo la voglia di piangere. O magari tentare qualcosa di peggio. Un giardinaggio estremo che porti a recidere tutti i fiori.

 

Non ci pensiamo. In fondo un altro giorno non è poi così lungo se lo divido in piccole porzioni.

Leggo. Guardo. Annoto.

Sono soltanto considerazioni oziose che servono a mettere un po’ d’ordine e a non lasciarmi sopraffare dal dolore. Ma no, non è dolore.

È qualcosa di peggio, più grigio e informe.

 

Cassie è fondamentale

Dolce, se parla con Liz, la muta

 

Mary Ellis è stata spietata ultimamente. Distruttiva, direi

«Tu mi odi» continuava a ripetere D, sempre più amara.

“Devo nascondere che odio me stessa” avrei voluto rispondere, ma è una questione troppo intima.

«Dovresti parlarne con … (e pronuncia il nome di quella donna, l’osservatrice aggiunta per errore”)»; ma io non me la sento, perché non è lei che può aiutarmi tirandomi fuori dal nero in cui ogni tanto sprofondo.

 

D è in crisi perché ha dovuto lasciare il lavoro dopo quarant’anni di routine. Le propongo di cercare delle alternative per non ingrigire in un letto, ma lei rifiuta con un gesto e una scrollata dei capelli – argento rado. «Mi sentirei umiliata sapendo che sto solo occupando i pomeriggi senza che mi importi davvero ciò che faccio» «Ma ci sarà qualcosa che t’interessa: un corso all’università, una scuola di lingue, le tue lezioni di basso …» Sbuffa.

Ma io non posso e non voglio essere il centro unico del suo orizzonte. Non lo sopporterei; e allora la spingo forse ancora per puro egoismo, per il bisogno di non sentirmi in  colpa, in difetto.