«Tu mi odi.
Tu vuoi distruggermi» dice Cassie. Dice D.
E forse
dovrei prendere in considerazione questo problema, l’eventualità tragica che ci
sia qualcosa di vero. Ma no. Credo sia tutto molto più complesso di così,
perché una cosa per essere vera deve essere complicata e sfaccettata di
sfumature. Abbiamo litigato ma è stato il logorio del quotidiano e non l’odio a
far scattare la rabbia prima della ragione. È stata Mary Ellis e non Liz a
governare le parole. E il vicino, che era venuto a trovarmi, ha assistito alla
scena. Non sono servite le scuse, non potevano servire perché siamo tutte e due
logorate dalla situazione. I micro-sbagli si trasformano in montagne
insormontabili. Ogni piccola paranoia economica diventa impossibile da
affrontare con lucidità quando lei fa la spesa secondo un criterio non mio.
Siamo stanche. Io combatto la noia e lo scoramento con libri e film che finalmente
riesco a seguire per intero; lei non dorme quasi. L’accudimento è come quello
di una bambina.
«Sei
un’egoista» dice D, e anche questo diventa oggettivo: Mary Ellis lo è e
contamina tutto con miasmi che non so bloccare, anche se mi sforzo. È
difficile, titanico. Quando finirà tutto questo? Non posso fare previsioni, non
ho una sfera di cristallo ma sento il dolore e questo basta a farmi fermare il
cuore nell’attesa frustrata. Accendo la TV giro ancora una pagina, e poi
un’altra. Sono già passati trentuno giorni. Quanti ancora? Uscire è un miraggio
e un bel po’ di merende scadono nella dispensa. Non so come regolarmi e l’angoscia
mi mangia viva. Non posso pensare né scrivere. Capire come procedere è un
arcano che vorrei risolvere. La schiena, i muscoli, il trocantere sono il meno
se paragonati al lavorio del cervello, all’idea – sempre presente – che non mi
muoverò più, che non avrò un’altra possibilità, un’altra pseudo-normalità al di
là di questo abisso. E allora non so: chiederò di nuovo consiglio, anche se è
un terreno scivoloso, anche se rischio di peggiorare le cose e poi oggi,
proprio oggi che avrei voluto la tranquillità di guardare i miei documentari.
E mentre la
situazione si normalizza e Cassie torna umana io cerco di non scontrarla e ne
parlo con la nuova psicologa. Ha un nome dall’etimologia triste e un cognome
che suscita fobie per cui urge trovarle uno pseudonimo per questi racconti. È
tonda e liscia. Marisa può andar bene.
Dunque, ne
parlo con Marisa e tutto si ridimensiona fino a svanire man mano che assume il
senso della normalità.
Pensavo di
non potermi aprire, di non potermi fidare perché ero convinta che macchinasse
qualcosa di occulto contro di me, ma si è dimostrata tanto gentile, disponibile
fino a diventare servizievole, che non posso sospettare di lei. Ogni settimana
mi porta un filter coffee preso al mio bar – il bar che mi manca tanto in
questi giorni di reclusione – e oggi si è fermata con me ben oltre l’orario
dell’appuntamento per aspettare Cassie che era a fare la spesa – una spesa
ancora una volta sbagliata ma che tollero per non far scoppiare un’altra bomba
ora che l’ondata è finita. Abbiamo guardato insieme Marco Bianchi alla “Prova
del Cuoco” (Gnocchi di patate un po’ troppo lunghi da preparare ma si possono
modificare) e conversato, più come amiche / conoscenti che come medico /
paziente. Ed io ritrovo il dono d’interessare tirando fuori mille argomenti.
Anche da
questo – dicono – si vede che sto meglio, anche se stanotte il dolore e la
paura mi tormentavano. Ho dovuto prendere una tachipirina, ma per la paura non
ci sono medicine.
Mattino:
alle 8 mi sono vestita per andare a fare la visita di controllo. Resteremo con
il cuore appeso fino a domani ma temo che, per quanto ci siano miglioramenti,
il traguardo sia ancora molto lontano e per questo mi dispero: perché volevo
davvero andare in biblioteca alla riunione, tra due settimane. È vero che due
settimane sono quindici giorni e ho un certo margine di lavoro possibile, ma le
scale, la creuza, l’autobus e poi la salita fino in via del Seminario mi
sembrano fantascienza. Marisa si offre di accompagnarmi con la macchina «Almeno
ti risparmi un po’» È buona o macchiavellica?
Cerco di
leggere. Leggo disperatamente. L’obiettivo è finire il libro. È sulla guerra
nelle Malvine. Una battaglia insensata e dimenticata (“le Malvine ai pinguini!”
recitava un cartello scovato in Patagonia da uno scrittore di viaggi).
L’obiettivo è di finire il libro ma ci sono continue intromissioni, gente che
mi parla e non mi va di essere scortese. Non guarderò Doraemon in TV. Meglio
avere tempo per il documentario sull’estetica che danno ogni sera sul canale 50
del digitale terrestre. E poi devo aggiornare questo diario e controllare se
sono arrivati nuovi film da vedere prossimamente. Commedie leggere e divertenti
che però abbiamo almeno dei buoni attori (sto scoprendo Woody Allen e Ben
Stiller, senza che ci sia nulla che li accomuna)