lunedì 16 novembre 2015

YOU HATE ME


«Tu mi odi. Tu vuoi distruggermi» dice Cassie. Dice D.

E forse dovrei prendere in considerazione questo problema, l’eventualità tragica che ci sia qualcosa di vero. Ma no. Credo sia tutto molto più complesso di così, perché una cosa per essere vera deve essere complicata e sfaccettata di sfumature. Abbiamo litigato ma è stato il logorio del quotidiano e non l’odio a far scattare la rabbia prima della ragione. È stata Mary Ellis e non Liz a governare le parole. E il vicino, che era venuto a trovarmi, ha assistito alla scena. Non sono servite le scuse, non potevano servire perché siamo tutte e due logorate dalla situazione. I micro-sbagli si trasformano in montagne insormontabili. Ogni piccola paranoia economica diventa impossibile da affrontare con lucidità quando lei fa la spesa secondo un criterio non mio. Siamo stanche. Io combatto la noia e lo scoramento con libri e film che finalmente riesco a seguire per intero; lei non dorme quasi. L’accudimento è come quello di una bambina.

«Sei un’egoista» dice D, e anche questo diventa oggettivo: Mary Ellis lo è e contamina tutto con miasmi che non so bloccare, anche se mi sforzo. È difficile, titanico. Quando finirà tutto questo? Non posso fare previsioni, non ho una sfera di cristallo ma sento il dolore e questo basta a farmi fermare il cuore nell’attesa frustrata. Accendo la TV giro ancora una pagina, e poi un’altra. Sono già passati trentuno giorni. Quanti ancora? Uscire è un miraggio e un bel po’ di merende scadono nella dispensa. Non so come regolarmi e l’angoscia mi mangia viva. Non posso pensare né scrivere. Capire come procedere è un arcano che vorrei risolvere. La schiena, i muscoli, il trocantere sono il meno se paragonati al lavorio del cervello, all’idea – sempre presente – che non mi muoverò più, che non avrò un’altra possibilità, un’altra pseudo-normalità al di là di questo abisso. E allora non so: chiederò di nuovo consiglio, anche se è un terreno scivoloso, anche se rischio di peggiorare le cose e poi oggi, proprio oggi che avrei voluto la tranquillità di guardare i miei documentari.

 

E mentre la situazione si normalizza e Cassie torna umana io cerco di non scontrarla e ne parlo con la nuova psicologa. Ha un nome dall’etimologia triste e un cognome che suscita fobie per cui urge trovarle uno pseudonimo per questi racconti. È tonda e liscia. Marisa può andar bene.

Dunque, ne parlo con Marisa e tutto si ridimensiona fino a svanire man mano che assume il senso della normalità.

Pensavo di non potermi aprire, di non potermi fidare perché ero convinta che macchinasse qualcosa di occulto contro di me, ma si è dimostrata tanto gentile, disponibile fino a diventare servizievole, che non posso sospettare di lei. Ogni settimana mi porta un filter coffee preso al mio bar – il bar che mi manca tanto in questi giorni di reclusione – e oggi si è fermata con me ben oltre l’orario dell’appuntamento per aspettare Cassie che era a fare la spesa – una spesa ancora una volta sbagliata ma che tollero per non far scoppiare un’altra bomba ora che l’ondata è finita. Abbiamo guardato insieme Marco Bianchi alla “Prova del Cuoco” (Gnocchi di patate un po’ troppo lunghi da preparare ma si possono modificare) e conversato, più come amiche / conoscenti che come medico / paziente. Ed io ritrovo il dono d’interessare tirando fuori mille argomenti.

Anche da questo – dicono – si vede che sto meglio, anche se stanotte il dolore e la paura mi tormentavano. Ho dovuto prendere una tachipirina, ma per la paura non ci sono medicine.

Mattino: alle 8 mi sono vestita per andare a fare la visita di controllo. Resteremo con il cuore appeso fino a domani ma temo che, per quanto ci siano miglioramenti, il traguardo sia ancora molto lontano e per questo mi dispero: perché volevo davvero andare in biblioteca alla riunione, tra due settimane. È vero che due settimane sono quindici giorni e ho un certo margine di lavoro possibile, ma le scale, la creuza, l’autobus e poi la salita fino in via del Seminario mi sembrano fantascienza. Marisa si offre di accompagnarmi con la macchina «Almeno ti risparmi un po’» È buona o macchiavellica?

 

Cerco di leggere. Leggo disperatamente. L’obiettivo è finire il libro. È sulla guerra nelle Malvine. Una battaglia insensata e dimenticata (“le Malvine ai pinguini!” recitava un cartello scovato in Patagonia da uno scrittore di viaggi). L’obiettivo è di finire il libro ma ci sono continue intromissioni, gente che mi parla e non mi va di essere scortese. Non guarderò Doraemon in TV. Meglio avere tempo per il documentario sull’estetica che danno ogni sera sul canale 50 del digitale terrestre. E poi devo aggiornare questo diario e controllare se sono arrivati nuovi film da vedere prossimamente. Commedie leggere e divertenti che però abbiamo almeno dei buoni attori (sto scoprendo Woody Allen e Ben Stiller, senza che ci sia nulla che li accomuna)

giovedì 5 novembre 2015

I’M THE SPOTLIGHT, NOW


Luisa. Lavora in uno studio con il quale ho collaborato per un progetto su Alice. È anziana ma mi trovo bene con lei e poi ieri sono riuscita a fare conversazione: libri, arte, nuove idee. È un piacere sentirmi di un umore più umano, anche se arrivano giorni di abbandono in cui non viene nessuno a trovarmi e dall’ufficio tutto tace. Che Jane si sia dimenticata di me? L’idea mi terrorizza ma non mi va di richiamarla dato che l’ho sentita solo qualche giorno fa.  E comunque mi ha promesso che sarebbe passata domenica. Mi annoto qualche argomento da condividere ora che ho finito un anime e ne ho iniziato un altro (talmente kitsch da essere interessante. La mia scelta è limitata, adesso che mi è venuta una specie di crisi di rigetto per il giapponese – vorrei capire tutto, dopo gli anni passati a studiare, però non ci riesco e mi innervosisco. Ma conto di tornare gradualmente ai cari vecchi sottotitoli con lo stesso metodo paziente con cui sto aumentando il numero di pagine dei romanzi finché non tornerò ad affrontare anche quelli più lunghi. Il cervello non divaga e oltrepasso le cento pagine al giorno senza problemi, se la storia è coinvolgente.

 

Anche la gamba oggi fa meno male, anche se non azzardo previsioni sul se e sul quando potrò in effetti uscire di casa. Spero solo di riuscirci per dicembre, in tempo per Natale, perché l’idea di comprare tutto on line mi pare deprimete, anche se forse sarebbe più vantaggiosa economicamente e in termini di tempo.

Dunque, mi preparo. Faccio esercizio. Cammino avanti e indietro per l’ingresso con il girello (almeno cinque giri di campo) e allungo le gambe. Mi dà fastidio che Cassie si debba sempre precipitare per ogni minima cosa, se non altro perché la vedo stanca e più passano le settimane più la prova si fa ardua, anche se non perde mai il sorriso dolce della madre e mi chiama “Nina” e “Chicca” come quando ero bambina. Stamattina però mi ha detto che sono prepotente perché vorrei imporle il mio orario di colazione alle 5  mentre lei ha puntato la sveglia alle 6. Questione di punti  di vista per cui non vale la pena di litigare (“Non attaccarla! Non attaccarla!”

Ma mi dà davvero fastidio che Cassie sia costretta a badare a me? Non lo so. Forse è questo che mi è mancato durante l’infanzia. Certo, la situazione ora è estrema, sconfortante se vogliamo, e non l’augurerei a nessuno, ma essere al centro dell’attenzione come una bimba piccola non è male, quasi avessi una seconda possibilità  con la quale ripartire e non da zero, ma tenendo come capi saldi i lati buoni della mia vita. Con questo non intendo dire che getterò il quaderno, i conti e la mia anoressia perché non ho la forza, il coraggio e la determinazione per una cosa del genere, ma credo che dopo andrò avanti in modo diverso, con una nuova consapevolezza. Se non altro perché mi sto rendendo conto di quanto sono importanti le quisquiglie che noi diamo per scontate: camminare, uscire, poter comprare ciò che si vuole quando si vuole. Appena sarò fuori mi farò un regalo. Una bambola – come volevasi dimostrare non so proprio crescere! – ispirata al Wonderland. Ho visto la pubblicità della serie e l’ho trovato carina, molto fashion, a dire il vero, anche se un po’ me ne vergogno.

martedì 3 novembre 2015

ANNIE TOO MUCH TIME


Annie, dopo mesi. Parlo, riesco a conversare, finalmente ho libri, film e serie da condividere, anche se in fondo è sempre la stessa conversazione riciclata. Ma è lei ad essere stanca, il viso provato nonostante il correttore che copre un po’ le occhiaie «Non ho un giorno libero da settembre e quando mi prendo mezza mattinata, devo comunque fare i lavori di casa; il mio ragazzo non lo vedo quasi più, solo un’oretta la sera. È come se avessi messo in stand-by la mia vita» «Ti ci vuole una vacanza lontana da tutto» «Mah, forse gennaio e febbraio saranno più tranquilli e potrò andarmi a fare un giro» . Ha amici sparsi per mezza Europa. Io non voglio pianificare niente, lascio cadere e torno a discutere di cose frivole: tutto bene. L’umore sta migliorando nel tentativo di mettere a frutto questo periodo difficile. Non so quando potrò di nuovo uscire normalmente (e la tempistica per i regali di Natale mi preoccupa non poco) ma non voglio fare previsioni perché il quasi no della fisioterapista alla mia speranza di poter andare in biblioteca l’undici novebre mi ha demoralizzata fino alle lacrime. Cassie ha fatto una comparsata ma è subito sparita in camera. Anche lei ha bisogno di riposare. Ora le notti passano (monotone come i giorni) e dormo persino per cinque ore ma mi sveglio comunque per fare pipì almeno due volte, e la devo chiamare, anche se mi dispiace «Mi riaddormento subito se non ci sono problemi» non ne sono tanto sicura ma non posso farne a meno, tutto passa in poco tempo (ormai siamo rodate) e alle 5.30 faccio colazione guardando un documentario di Rai 5. Sto imparando un sacco di cose. Soprattutto mi piacciono i documentari di viaggio e meno quelli sugli animali anche se poi resto sintonizzata per pigrizia e perché a quell’ora non c’è altro in giro. Poi mi disintossico leggendo, scegliendo ogni volta un libro un po’ più lungo. Ero partita dal giorno del trauma che la testa mi andava via in poche pagine, distratta da pensieri e ossessioni varie. Ora sono al traguardo di 320 pagine il prossimo sarà di 370. Storie leggere, coinvolgenti, ironiche. Ammaniti aiuta, poi passerò a Veronesi. Comunque con Cassie va meglio: si occupa di me a trecentosessantacinque gradi e fa anche troppo – povera donna. Lavora solo per mezza giornata e si fa sostituire dalla collega che ormai l’affianca in tutto. È questo quello che volevo? Inconsciamente forse sì. Non che mi sia fatta male apposta o che mi trovi bene in questa condizione, ma sento qualcosa di piacevole, caldo e materno ogni volta che mi porta in cucina o che deve venire a vedere se è tutto apposto. Ho un campanello che posso suonare per evitare di urlare e lei lo sente subito, senza mancare una volta. Per questo cerco di soprassedere sui piccoli incidenti e ripeto come un mantra “Non la attaccare. Non la attaccare”. Per i problemi maggiori ho ancora qualche difficoltà: errori di calcolo per lo più, o di budget. Sto provando a controllare l’impulso alla paranoia economica avendo capito che Cassie è in grado di usare praticamente di tutto dentro alle sue improbabili torte che però vengono utili quando si presentano gli ospiti della domenica, unico giorno in cui la gente non lavora. Di solito sono Sonia e suo marito e siccome sono entrambi golosi ed educati non si tirano indietro di fronte a una fetta di dolce. Io invece ho sempre il mio standard, più per abitudine e per praticità che per altro, anche se trovo varianti interessanti di cui però non sono pronta a parlare apertamente con tutti quanti (la curiosità di Sonia a volte mi mette in imbarazzo). Si fa merenda insieme e si scambiano due chiacchiere sul principale di Flavio e sugli espositori per ciglia finte, sugli ultimi scandali sanremesi e sulla birra artigianale, sui sottobicchieri e sui francobolli falsi che lui disegna per beffare le Poste. Vanno via verso le otto, quando inizia Fazio in tv. Sto cercando di disintossicarmi dalla televisione spazzatura (i telefilm del mattino fanno passare il tempo ma non hanno spessore) e guardo film sul cellulare, anche se lo schermo è piccolo e scomodo e pure venato: almeno a fine giornata mi pare di aver fatto qualcosa di buono, di aver immesso nel cervello un sapere qualsiasi.