domenica 14 settembre 2014

LEECH'S GARDEN



Willam John Leech A Covent Garden, Brittany
 
10.04 a.m. Incontro Eloisa e Annie all’Isola di Pasqua, il nuovo bio-locale che hanno aperto in centro. «Oh, come stai bene!» In realtà i miei vestiti denunciano una cronica mancanza d’autostima: in ufficio sono arrivate le ennesime stagiste intercambiabili. Troppo carine, troppo simpatiche, con un curriculum troppo perfetto.

Basta un attimo e il tuo astro si offusca.

Solo qualche giorno fa ho fatto un po’ di prove nel camerino non-videosorvegliato dei grandi magazzini più chic della città: gonna e camicetta di Okäidi, abitino Disegual. Io lo chiamo “photoshopping”, ovvero i miei sognanti outfit da principessina quasi milionaria si possono vedere gratuitamente sui social network più seguiti.

Ecco a voi il mio personale quarto d’ora di celebrità. 

Dunque riassumendo, ho cercato nel mio armadio speleologico qualcosa che mi distinguesse – Ehi, guarda qui! Sono speciale – e sono contenta (se si esclude il muffin integrale al mirtillo che mi tenta dal piattino delle colazioni eleganti). Allontano i sassolini che rotolano nella risacca della mia gastrite infiammabile e riesco persino a macchiare un caffè filtrato in tazza extralarge.

Mary Ellis calcola: «Cosa succederebbe se mi concedessi un assaggio di dolce? … Solo una briciola … Se non mangiassi più per tutto il giorno, forse potrei» …

 

L’idea è di fare un giro al mercato per cercare agrumi da asporto, anche se poi dovrò riportare in dietro le bucce per pesarle vuote, sentendomi come Pollicino.

Le mie amiche condividono l’allegria generale in scatti adolescenziali che immortalano il tavolino basso, l’albero fatto di parole scritte sul muro e la tisaniera in cui galleggiano bacche di rosa canina. Ognuna lancia un amo, una piccola scoperta che vortica nell’aria e ricade – puf –

Progettiamo le nostre vacanze di bassa stagione: ho preso una guida dell’Irlanda, mentre Eloisa traccia percorsi in mezzo alle rovine ittite di Cappadocia. A D non l’ho ancora detto. Ultimamente non le si può parlare di niente. Per colpa mia, è diventata acida e cattiva come la Strega Gramigna.

In solitario, la mia insonnia progetta itinerari “Dublino e dintorni”. Certo, non posso permettermi l’avventura nella brughiera selvaggia ma cerco di non pensarci e m’innamoro dei palazzi storici, dei pittori, degli scrittori e persino delle birrerie.

 

«Vorrei dei miyagawa: sono mapo due punto zero, ibridi alla seconda tra mandarancio e pompelmo. Però ho deciso che li prenderò solo dal fruttivendolo che lo sappia scrivere correttamente! » Ho visto di tutto, fantasiose composizioni di “i” e “y”, “w” e “u”. «Fai prima a scriverglielo tu su un pezzo di carta!»

Le risate mi riempiono il cuore.

Devo succhiare un tacchetto di liquirizia per alzarmi la pressione.

Sono stanca,

Schiacciata da un infinito universo di cose da fare, da vedere, da leggere. Avrei bisogno di dormire, o meglio di spegnere il cervello e dimenticare tutto.

Sono stanca.

La tristezza mi lascia macchie rosse sui polsi. Devo comprare una polsiera di spugna rosa e delle bende pulite, ma questa cornice dolce mi tranquillizza, per un momento.

Eloisa ha puntato delle nuove scarpe. Come tutte le donne soffre di una specie di ossessione feticista per i tacchi alti e gli stivali di pelle. Gioca con la sensualità delle sue forme. «Ma quanto sono stupidi gli uomini?» Qualche giorno fa – racconta – stava vendendo i campioni di una bibita in un chiosco e, per attirare clientela, si è messa delle cannucce in mezzo alle tette. «Ho fatto quasi ottocento euro in una sera!»

Io non so cosa significhi piacere a qualcuno,

Suscitare desiderio,

Ingoiare ed essere ingoiata,

Bere ed essere bevuta.

Ci sono state – forse – alcune rose nel mio giardino, ma non le ho mai colte e il destino sarebbe stato diverso se fossi stata un'altra persona … Ma non ho intenzione di parlare di questo. Non sono ancora pronta. O forse non voglio rovinare l’armonia, la luce dorata dei riccioli di Annie – la mia Betty Berry – o la fiamma rossa del sorriso di Eloisa.

Non merito l’aura positiva di questa mattinata di tardo ottobre, però posso godermi il tepore, scherzare finché è possibile. Le foglie cominciano a rosseggiare sulla vite americana, lungo il recinto del mio palazzo e in fondo alla mia mente Erin ha nostalgia degli aceri nei parchi di Nara, ma sono qui; non sono lei. Sono una ragazzina imperfetta.

Annie guarda l’orologio «Dai, per stavolta offro io» si è fatto tardi «Ho la bici qui vicino. Vi accompagno al mercato e poi vado, devo vedermi con la tizia della distribuzione alimentare» Filiera corta, commercio sostenibile: molte famiglie adesso lo fanno, per fronteggiare la crisi o solo per ridare un senso alle traiettorie impazzite della merce.

Alla terza bancarella, scegliamo due finocchi e un cetriolo. Eloisa conta gli spiccioli nel portafoglio sotto lo sguardo di un commesso distratto dalle sue curve.

 

Un giorno – quando sarò più forte – racconterò tutta la verità sui fiori che ho perso per strada, ora no. 


lunedì 8 settembre 2014

THE STEAMPUNK EMPIRE An unsteady world

 
«Pronto, Buongiorno. Associazione Culturale Contrasti, mi dica … » Una voce arriva dall’oltretomba di un ricovero per pazzi «È uscito il catalogo. …. Cos’ho vinto?» le sillabe smozzicate collidono col mio tono professionale. Non so quasi nulla dei dettagli organizzativi, ma Ondine è impegnata in mezzo alla polvere del piano di sotto. Gli operai sfondano i tramezzi e dipingono le pareti di fucsia, come il vino rosso versato su di una tovaglia. «Là nell’angolo vorrei mettere una fontana o un’acquasantiera» Si è vantato il Boss, brandendo le chiavi del labirinto … e intanto i nostri stipendi scorrono via insieme all’acqua sporca del secchio di Tony, il tuttofare.

Strizzando il mocho nell’apposita fessura, tenta di ripulire i detriti dell’ennesima esplosione «Che begli occhiali che hai!» È stato l’unico a guardarmi in tutta la giornata. E dire che ero così fiera degli occhialoni da moto costruiti da mio nonno: autenticamente vintage, fantasticamente old-old fashon. «Sì, grazie» con un senso di sollievo gli racconto tutto della mia famiglia, di quell’uomo dagli occhi azzurri come laghi d’inverno – occhi un po’ tristi, che non rendono nelle foto in bianco e nero –, dei campi di lavanda sul confine francese, delle colline verdi che nascono dal mare … Beh, no, forse non dico tutto questo perché non c’è lo spazio né il tempo, ma lo penso; e il pensiero fa sbollire la rabbia quotidiana.

 

Ho telefonato al Boss. Il suo smagliante smartPhone vibra nella trasferta nevrotica di Milano: nell’incertezza di una fiera-per-soli-compratori nell’era della Crisi, per ora c’è soltanto un numero infinito i etichette sbagliate e una scatola piena di chiodi e di viti. «Senti … per la scadenza di oggi …» gli ricordo, tentando di sovrastare il rumore dei trapani in sottofondo «NON HO TEMPO!» taglia corto lui, troncandomi la frase. Ci riprovo, caparbia. Sono sei mesi che manchiamo ricorrenze d’ogni tipo. «Lo so, per questo sono entrata nella schermata del computer. Devo solo inserire i dati» «TU NON INSERISCI NIENTE, CAPITO!?» Tuona, come Susanoo prima di scoperchiare la sala del Palazzo Celeste. Ma no, il paragone non calza perché non c’è irriverenza o anarchia nel ruggito, quanto piuttosto l’imposizione collerica del Leviatano. «Ok, ok …» Conto fino a dieci … congiungo indice e pollice: “Ohm”. Salgo di nuovo le scale bestemmiando e ficcando le mie cose nello zaino. Ho bisogno, assoluto bisogno di passare da Sócrates a fare un po’ di shopping. Sull’agenda ho una lista infinita di cose da chiedergli: di sicuro troverò la mia consolazione momentanea.

La rabbia mi spinge come il vento.

Sincronizzo il passo, ancheggiando sulle strisce pedonali.

«Hai qualcosa di Capitan Harlock? Vorrei essere preparata per la prima del film!» esco dal negozio con un tascapane nuovo. Sul lembo di chiusura campeggia un’immagine del Pirata dello Spazio meravigliosamente anarchico in versione anni Settanta. Il nuovo capitolo dell’eterna saga sarà tridimensionale, con un immaginario generato a computer. Bello e cupo per le generazioni future.

Tutto cambia precipitando troppo velocemente.

Un mio “amico” scrive in rete: “Noi siamo stati gli ultimi ad ascoltare le musicassette” – Ricordate il fruscio delle TDK copiate? “Siamo stati gli ultimi a pagare la colazione in lire” –  Chiedevamo al panettiere un millino di focaccia e un Estathé. “Siamo stati gli ultimi a guardare Bim Bum Bam” – Siamo quelli cresciuti con la Strega Gramigna, Uan e For, mentre oggi Cristina D’Avena è un mito imbalsamato sul palco delle convention di fumetti.

 

Tornando in dietro, già più calma e rasserenata, anestetizzata dalla droga del possesso, entro nel bar che hanno appena aperto davanti al mercato.

“Pace della mente in un mondo instabile” c’è scritto in inglese sulla mia tazza di caffè filtrato (e io scatto una foto da condividere).    

Spio i colori vivaci delle piante nei vasi, sulle bancarelle di fronte. Il liquido scuro ristabilisce il ph del mio cervello e dello stomaco ulcerato.

 

Da due giorni quasi non dormo.

Brucio e mi contorco in silenzio. Nei rari intervalli in cui il rumore della televisione mi culla, sogno di cantare perdendomi in cielo pieno di stelle e mi sento un po’ come K: mi pare di capire di più il suo dolore, il pigiama usato come abito da cerimonia, le dita lunghe da poeta, lo sguardo smarrito dietro il sole.

http://youtu.be/9uWwvQKGjLI