giovedì 24 luglio 2014

CYBER TINKERBELL


Se il buongiorno si vede dallo stalking, io assaporo il piacere superiore di farmi inseguire. Due messaggi e una notifica. Certa gente non ha abbastanza immaginazione da alimentare autonomamente il proprio cervello e t’invade la casella di posta di presenze indesiderate.
Spengo il cellulare e respiro.

In realtà, cerco d’ignorare il mio corpo gonfio. Stringo alla mia pancia la pancia calda di un gatto pieno di semi di ciliegio, mi alzo la maglia, controllo la pelle azzurra. Ho ufficialmente perso l’ultima aeronave, la cultura ormai è un’opinione da dilaniare.
Sono un’aliena scappata dall’Area 51.
Il Presidente della Terra sogna droni fatati che svolazzano come Apsaratt-roditori tra i capelli di Lady Lovely – tutte le guerre della storia in origine erano “lampo”.
Il papa digiuna in un assordante digiuno mediatico ed io – che per decreto non posso astenermi dalla regolarità asfissiante dei pasti – domani chiamerò l’esorcista che prescriva yogurt alla pera plus cereali, con il tocco magico dei bacilli vivi.
E intanto posto faccine verdi su facebook e misuro l’estensione della solitudine.
Una ragazza di Shinjuku libera un cuore-farfalla dal centro del fiocco sull’uniforme: Tokyo sarà di nuovo olimpica dopo le passate glorie di Mila Hazuki.

Ieri il mio amico Tyler ha suonato il campanello «Ciao, ero ad allenarmi qui vicino e ho pensato di fare un salto a trovarti. Posso salire?» Sembrava la domanda del Principe a Raperonzolo, ma io ho un lungo dreadlock al posto della treccia e ho sorriso ricordando altri tempi, sulle stesse scale. «Scusa se non ti bacio, ma sono tutto sudato» «Vuoi fare una doccia?» Due eoni fa, lui veniva da me invece di andare in piscina poi, nel bagno, inzuppava gli asciugamani di spugna, li ficcava nella sacca sportiva e fingeva di aver nuotato per ore.
Poi le sigarette al peperoncino hanno aggravato la sua asma.

Adesso siamo cambiati. Il ragazzo che mi sta davanti vuole mettere su una palestra e imparare a suonare la tromba.
Parliamo di fumetti e telefilm, progettiamo di andare insieme al prossimo grosso evento per cos player: io con un mazzo di fiori di carta in mano, lui con una coda fiammeggiante che gli spunta dalla divisa. Probabilmente mi sentirò in colpa subito dopo aver comprato il mio costume in rete (cinquanta euro per l’ebbrezza momentanea di diventare un’eroina a due dimensioni), ma mi giustifico dicendomi che la vita è una sola, e la mia è già troppo mutilata e offesa.

Quand’è che lui aveva lanciato la proposta di un viaggio in Giappone?
Se provo a pensarci, Erin grida forte nel mio sangue. Si rivolta. Si agita. Urla: «Cassie ora ti darebbe il permesso e i soldi» Bisbiglia: «Se volessi partire, lei verrebbe addirittura con te» Mi pare persino che brandisca uno spadone o un ventaglio affilato. Dev’essere Erin che mi ha inciso gli ultimi segni – precisi e netti – sul polso, sotto il bracciale di gomma viola. «Con Tyler mi sentirei in imbarazzo e Cassy non condivide il mio amore» rispondo. L’Altra-Me tace. “Non voglio che la bellezza venga inquinata dalla frustrazione”: questo è l’argomento definitivo, quello che nasconde il vero dolore. Non posso cambiare. “Erin, non posso permettere che i tuoi ricordi siano sporcati”.
Meglio tornare coi piedi per terra; meglio valutare una piccola spesa di spedizione per una gioia monodose. «Dai, ti mando il link, così mi dici cosa ne pensi, ordiniamo i vestiti e ci organizziamo» (Ma se anche questo fosse troppo? Se fosse troppo stupido?)

«Tyler, ti va una merenda? Un po’ di spumante?»
A questo punto Cassie si era alzata per andare a prendere un bicchiere di prosecco frizzante e una coppetta di budino al choco-mango che io avevo preparato fin dal mattino.
Mi piace credere che la domenica sia un giorno speciale, anche se alla fine continuo a lavorare battendo sui tasti.
Anche se non posso assaggiare i cristalli di zucchero colorato.
Fin da bambina e anche dopo, da donna mancata, mi sono sempre sentita come se stessi partecipando a una gara di conversazione brillante. Avevo paura che mia madre mi rubasse le battute, rendendomi ridicola e decorativa.
Per questo l’ho allontanata con disinvoltura.
Per questo lei si è lasciata allontanare.



mercoledì 16 luglio 2014

LOTUS GUN


Non sono mai stata così male in vita mia.

Mentre sullo schermo Kim Ki-Duk costruisce una pistola per vendicarsi d»i chi l'ha tradito abbandonandolo e poi progetta il proprio suicidio con un filo di nylon, io penso alla vecchia carabina napoleonica del mio bisnonno e al rumore che farebbe il proiettile attraversandomi il cervello – Ready! Action!

Facile.

Un colpo nel pogo ha deviato l'assetto del mio scheletro, che ora si sta sbriciolando come da previsioni. I pensieri sono neri. Catrame.

La linea verticale di un tronco divide in due un cielo di un azzurro esasperante. Lampi di sole e un mare di lapislazzuli michelangioleschi che comunque non mi appartengono.

Una persona che secoli fa ha smesso di essere Cassy evita qualsiasi contatto emotivo, strappa via qualsiasi distrazione «Sei in pausa?» Da giorni sono chiusa in questa stanza aspettando una proposta “divertente”, ma lei non parla. O non riceve risposta.

Solo ieri sera, dopo aver acceso la radio sul programma rock della notte, ho sentito un rumore sommesso in cucina e, dopo una breve apprensione, ho capito che lei era sintonizzata sulla stessa stazione e stava canticchiando la canzone che anch'io stavo ascoltando, con l'inglese inventato tipico della sua generazione.

Ma poi la commozione e la giovinezza sono svaporate nel nuovo mattino pieno di grilli. Ultimamente mi rivolge solo domande apprensive: “Come stai?” si alterna a “Sei stanca?” , ma oggi c'è una novità, un ordine quasi perentorio: «Va'  a chiedere un limone alla vicina». Come se comunque non la vedessimo tutti i giorni, un'anima inquieta piena di ansie che entrano in conflitto con le mie producendo scintille d'insofferenza.

 Quella donna è la new entry della mia segregazione. «Che palle!»  «Hai detto “Che palle!”?» ... Se provassi a ignorare che ho solo trent’anni e sostituissi la parola “tristezza” con “quiete”, magari le cose andrebbero meglio, il buco nel petto si rimarginerebbe e io potrei respirare. In fondo i due termini sono quasi sinonimi, nel mio dizionario.

Mi sfilo gli auricolari. Poso il rasoio.

Ho del sangue che mi cola su una mano.

Potrebbe essere un elemento interessante per la curiosità pettegola della gente?  “Io mi faccio gli affari miei ma ...”; “Hai visto quella? Di sicuro è malata o una tossica, te lo dicevo io!” A volte esco di casa con un foulard avvolto intorno alla testa, per alimentare le leggende

Camminando lungo la curva che mi separa dalla casetta affianco alla nostra, rivolgo i palmi in basso, chiamando a testimonianza la terra e l'asfalto, come un Buddha post-moderno (che rotola giù da una scarpata).

Quando torno indietro (rabbuiata e senza limone – rubato da qualche mano invidiosa, perché si sa che l'albero sul confine è sempre più giallo), il reticolo di rughe di D è concentrato nella preparazione di un piatto di gamberoni. Le teste sono ammucchiate da un lato. Musi lunghi che mi fissano malinconici come chansonnier francesi, con lo sguardo lucido e senza sclera. ... L'attrice del film coreano che stavo guardando aveva occhi simili: due stelle d'antracite brillante. «A quanto pare niente salsina per stasera» annuncio sbattendo la porta della mia cella in sala.

Quello era stato il “salotto buono”, o così doveva essere prima che mia nonna si ammalasse e gli ospiti si diradassero come i suoi capelli grigi. Da quel momento era diventato il logoro teatro di una separazione famigliare, con mia zia curva sui suoi tomi di filosofia a covare risentimento e una ragazzina vivace – destinata a essere mia madre – che nascondeva i fumetti sotto i libri di testo. Durante la guerra, la libreria a muro era stata una dispensa segreta dove stivare le provviste all'insaputa dei soldati ma ora c'erano solo file di volumi inutilizzati, romanzi estivi e raccolte di filastrocche infantili. Le ciotole piene di conchiglie sono coperte da uno strato di polvere e, se ne avvicinassi una all'orecchio, non sentirei più il rumore delle onde che ormai sono troppo remote. Nemmeno io ricordo il suono della risacca, eppure c'è stato un tempo in cui mi piaceva andare alla spiaggia nelle mattine torride d'agosto, entrare in acqua e spiare il fondo, “fare la stella marina” trattenendo il respiro, con le braccia e le gambe allargate e poi tornare sulla sabbia, stendermi sull'asciugamano e leggere qualche pagina senza l'ossessione del lavoro da sbrigare. Già, “ossessione”... da un po' D non fa che spiarmi amareggiata «Devi farti aiutare! Stai davvero peggiorando, conosco qualcuno che potrebbe ...» La fermo sempre a questo punto perché so che nominerà Violante e la mia presunta debolezza, so che dirà che mi invento cose assurde per accusarla. Non voglio sentirmi di nuovo oltraggiata e umiliata. Vorrei solo che lei mi capisse ... ma adesso non conta più, almeno non nell'immediato. Stiamo per partire. Questo significa che non vedrò più l'orizzonte punteggiato di vele e non soffrirò più come un bambino povero in una pasticceria di lusso. È finita e forse, dopo le liti e i pianti, sarò io a riprendere il controllo della carta dei menù. Il mio corpo deformato potrebbe addirittura tornare a posto ... In fondo nulla è perduto: vivo in una città sulla costa e basta una mezz'oretta di treno per avere una piccola baia fatta di scogli, tranquilla e pulita. Quest'anno la bella stagione è cominciata in ritardo e sembra che durerà ancora per un paio di settimane.

Seduta di fronte allo schermo immobile, con le cuffie inserite nell'apposito foro, immagino un settembre mite e i ciottoli levigati che rotolano a riva sotto i miei piedi.