venerdì 26 luglio 2013

SWEET PRESSURE ORCHIDS


 
 
« … Cioè, questo è davvero l’uomo perfetto!» dice Annie mentre, in piedi su una sedia, controlla la cottura di una torta di mele eccessivamente liquida. Con una mano stringe una presina, con l’altra tiene in bilico un IPad nuovo di zecca. Conosce questo tizio, Philip, da poco più di due settimane ed è ancora impegnata a giocare al Principe Azzurro e la Bella Addormentata … «Ha una barca a vela e mette solo polo Fred Perry!» – Anch’io avevo una barca, prima che si riducesse a uno scheletro da divorare, abbandonato in qualche porto su un’isola greca.

 «Mi ha portato a mangiate in un posto da guida Michelin: due stelle, capisci? … Con le candele sui tavoli: che romantico!» – Le si accendono lucine da cartone animato negli occhi, anche se mi dà le spalle lo intuisco dalla profusione di cuoricini nel sua voce.

 «E poi è TROPPO carino!» Percepisco l’intonazione maiuscola dell’aggettivo.

Non capisco la chimica dell’attrazione, l’ossitocina dell’amore per curare le dipendenze … La felicità altrui ha un sapore sgradevole, difficile da tollerare se non possiamo condividerla.

Forse sono contraria ai rapporti di coppia come non approvo l’uso degli psicofarmaci per stabilizzare l’umore, sanare le ansie, dormire meglio, essere più socievole: per costruirsi un avatar da sfoggiare in pubblico, come se vivessimo in un perenne cocktail party. O in un perenne stato d’assedio.

Sullo schermo del computer scorrono le immagini della CNN. Esplode una bomba durante la maratona di Boston. Scrivere un libro è un po' come correre, la motivazione in sostanza è della stessa natura: uno stimolo interiore silenzioso e preciso, che non cerca conferma in un giudizio esterno” dice l’atleta tagliando il traguardo. Sotto sforzo, sudato, lui è autore di se stesso.

 Io sto plasmando il mio corpo in base alla parola, come gli antichi eroi dei miti. La barriera tra una sana fiducia e un malsano orgoglio è molto sottile” dice il poliziotto della scientifica raccogliendo rilevamenti sulla scena: vite a brandelli, ordigni a pezzi, prove minime.

«Ti va un tè di riso? Me ne ha regalato un sacchetto ieri! È buono, sai?» Faccio una smorfia. «Non hai qualcosa con i valori nutrizionali notificati?» Ricordo controvoglia il sapore tostato del genmaicha che Erin beveva in Giappone, sempre con un occhio ai numeri stampati sull’etichetta. Quando uno dei miei amici partirà senza di me, potrei chiedergli di portarmene qualche bottiglia, no?

 

Penso: “Alcune persone hanno bisogno di essere coltivate come fiori in un vivaio”, assetate di un concime necessario e del calore artificiale della serra. “Ossia: alcune persone sono alla costante ricerca osmotica di Qualcuno, come le orchidee non sarebbero sbocciate senza le cure di Nero Wolfe”, ma nessuno è veramente indispensabile.

 

Non vedevo Annie da due mesi, anzi da Natale se escludiamo saluto fugace in centro tra un impegno e l’altro, e in tutto questo tempo il mondo ha spostato il suo baricentro «La settimana la prossima andremo qualche giorno in montagna!» – Lei ha passato il sabato al mare e ha la pelle rossa come un’aragosta, rossa come i suoi jeans. Una scottatura riflette l’oro dei suoi ricci ambrati.

Il mio sguardo vaga fuori dalla finestra, sopra i tetti d’ardesia della città: sono quasi le otto ma il sole è ancora dolce e posso illudermi di essere ancora umana.

Una minima variazione di semitoni attira la mia attenzione ondivaga. «Mi accompagni al negozio del paki a comprare i taralli per stasera? Abbiamo in programma un aperitivo» Ballando come una trottola, senza perdere allegria dinamica: «Uh, mi scoppia la testa! Sarà colpa di questo caldo improvviso!» Sembra che lei non abbia considerato che l’alcol non va molto d’accordo con il ketoprofene per il mal di testa. 
Annuisco cercando di mettere in sequenza i comandi motori necessari ad alzarmi dal divano e la raggiungo già sulla porta, sul terrazzo innaffiato di luce arancione.

http://youtu.be/jW8UlrtcEac

venerdì 19 luglio 2013

THE LIVES OF OTHERS / Tales from Tenochtitlán #3


 

 
 
Torno a casa.

Lentamente.

 Mi tremano le gambe.

Ho due libri-arma nello zaino e aspetto di cadere sotto “il peso della cultura”.

Chiudo gli occhi e inserisco il pilota automatico. Sbando fino a raschiare contro un muro di cinta, contro il cespuglio di rose che si arrampica sulla ringhiera.

Un cielo plumbeo si sfilaccia sui comignoli di rame dell’ex centrale elettrica – Silenziosa, abbandonata: sembra il Palazzo di qualche regno incantato, non mi stupirei di vedere la Malvagia Strega dell’Ovest che fa capolino tra le inferiate arrugginite, in mezzo ai busti di pietra di Thomas Alva Edison e William Murdoch.

La stagione non tiene conto del calendario e una pioggia sottile ritarda la fioritura degli alberi, nel cemento della città. Jane ed io volevamo festeggiare con un vero o-hanami in stile giapponese, indossando i nostri kimono e mangiando sushi da asporto sotto i petali rosati, ma sembra che dovremmo rinviare a una data più mite. Intanto, studio il menù di un nuovo ristorante nippo-radical-chic e valuto le possibilità fino a ridurle a zero, fino a ritrovarmi ancora con l’amarezza del “niente di fatto”.

Cammino. Rigiro il vortice nella mia testa. L’invidia è un serpente insidioso ed io non ho nemmeno un bastone per sconfiggerlo. «Non credo nel potere taumaturgico della psicanalisi» mormoro rivota all’asfalto « … Anche se Jung aveva un’intera corte di spiriti danzanti nel suo giardino» Per questo continuo a scrivere: per eliminare almeno un po’ del veleno che altrimenti rischierebbe d’intossicarmi ad ogni respiro “Che sia freddo o no, Dio è presente”.

 Il mio amico Tyler mi ha chiesto di portarlo a vedere Tokyo: pensa ch io possa svelargli i segreti dell’Impero e non sospetta nemmeno il dolore reiterato ogni mattina, inseguendo i sottotitoli di un anime in streaming – Ventiquattro minuti di sofferenza metafisica: un tempo le streghe si uccidevano schiacciandole sotto una pietra. Dovrò dagli la mia risposta entro maggio; e dovrà essere negativa, presumo, per preservare un pizzico di sanità mentale … O forse, al contrario, la decisione più sana sarebbe di lasciarsi trascinare buttandosi tutto alle spalle?

Persino Jane partirà per Kyôto quest’estate, persino lei che ha accantonato lo studio della lingua per un lavoro assurdamente burocratico, troppo lontano dall’arte che ti fa espandere il cervello, senza gratificazioni (o almeno così appare, visto dall’esterno); mentre io – che spendo tempo, fatica ed energia per cercare di migliorare giorno dopo giorno, una parola alla volta – rimango bloccata qui, in questo reticolo di vie sempre uguali.

E, Janis, la figlia di Hortensia? Un tempo si chiamava Opal ma in questa storia tutti cambiano nome almeno una volta e, come a voler chiudere i conti invertendo i fattori, quest’anno andrà col suo ragazzo in Messico, senza conoscere la storia, senza aver letto … («Frida chi?») .

C’è un proverbio che dice: “ Chi ha il pane non ha i denti”, che significa: “Se hai fortuna, non la sai apprezzare”. Ed io non trovo la voce “pane” nelle tabelle nutrizionali di Calorie.it. Mi dispero, mi agito, m’incupisco, resto muta.

Ancora un chilometro, ancora quaranta minuti. Le nuvole grigie diventano pioggia in sospensione, quell’acqua sottile e invisibile che t’infradicia pungendoti la pelle: l’ombrello è inutile, spazzato via dal vento.

In cucina bevo una tazza d’acqua calda con cinque gocce di limone sintetico. Spio le finestre che si accendono sulla sera: ombre ritagliate come diorami dietro i vetri – Una donna già in maniche corte, il corpo arcuato di un gatto che si stira pigro…

 Immagino lo scorrere monotono delle esistenze altrui. Mi capita spesso di costruire castelli di fantasie osservando la spesa che il mio vicino ha messo nel carrello al supermercato, per esempio.

È solo un momento, un contatto visivo nella fila annoiata dei clienti alle casse, e poi le trame delle nostre esistenze riprenderanno totalmente indipendenti. Eppure in quel singolo attimo potrei visualizzare perfettamente i bambini che mangeranno le merendine, o la coppia sposata che butterà una pasta veloce nella pentola del sugo pronto … Cose così, senza importanza.

E adesso il liquido leggermente aspro scorre giù per l’esofago e mi brucia un po’ la gola – segno tangibile che sono ancora viva – e gli edifici si trasformano in giganti muti, colossi di pietra che proteggono praticelli di un verde transgenico. Che strano: sono quasi le otto ed è ancora chiaro, i muri si tingono timidamente di lavanda mentre dappertutto si diffonde l’inconfondibile “odore di cena”. Sento il bisogno di un punto esclamativo per colorare le mie frasi mentali ma c’è un’àncora che cancella gli entusiasmi. Le tortore tubano sul filo in attesa di qualche briciola, un pappagallo brasiliano naturalizzato strilla da qualche parte tra le foglie, in quell’imitazione di campagna tropicale.

L’ultimo sorso bollente mi entra nel naso.

Tossico e sciacquo la ceramica che torna bianca, splendente, decorata con piccoli fiori rosa.
http://youtu.be/qcguxHc4hiU

lunedì 15 luglio 2013

A CERTAIN MAGICAL INDEX


 
“A Certein Magical Index” (“To-aru Majutsu no Index”) è un progetto multimediale complesso che parte dalla rielaborazione grafica della serie di light novel scritta da Kazuma Kamachi e che comprende un manga e diverse serie anime. Vista la ricchezza del materiale originale, lo sviluppo narrativo non è del tutto unitario e anzi si può suddividere in due filoni principali; da un lato l’aspetto “religioso” o “magico” della realtà e dall’altro l’approccio “scientifico”.  Seguendo questa linea di discrimine, è possibile tentare una classificazione ordinata dei personaggi che trovano la loro collocazione in uno dei due ambiti, pur essendoci dei punti di contatto.
Ma prima di addentrarsi in una descrizione accurata dei protagonisti, è necessario avere un’idea del quadro d’insieme.
Touma Kamijô frequenta la scuola per esper (nôryoku-sha) in una futuristica Città Studio controllata minuziosamente da un super-computer (il Tree Diagram) e alimentata dall’energia eolica. Pur applicandosi, Touma non sembra avere particolari abilità anzi, tutto gli va perennemente storto e finisce sempre per cacciarsi in guai grotteschi. È quel che succede quando trova sul pianerottolo di casa una piccola suora della Chiesa Puritana d’Inghilterra che dice di chiamarsi Index e indossa una “chiesa ambulante”(aruku kyôkai), cioè una speciale veste protettiva che riassume in se stessa tutte le caratteristiche di una chiesa[1].
 
 
Infatti, non è una persona come le altre: nella sua memoria è stato immagazzinato il contenuto di 103.000 grimori e molti maghi mirano a questa incredibile fonte di potere. Grazie alla convivenza con la ragazza, il protagonista rompe a poco a poco l’isolamento che lo circondava e scopre di avere un’abilità: la sua mano destra è quello che si definisce “Immagine Breaker”, in grado di dissipare qualsiasi forma d’incantesimo. Da qui si dirama uno dei due tronconi principali, quello che mostra gli incontri / scontri tra maghi per il dominio sull’Indice dei Libri Proibiti “contenuto” nella memoria di Index. La caratterizzazione del personaggio e la descrizione delle situazioni è quella tipica delle commedie sentimentali /fantascientifiche: una ragazzina allegra, ingenua e totalmente priva di esperienze mondane piomba nella vita di uno studente mediocre. La lista dei riferimenti sarebbe quasi infinita e andrebbe da “Video Girl Ai” (Masakazu Kazura) a “Oh mia dea” (Kôsuke Fujishima) fino a Chobits (CLAMP), arricchendosi del campionario di suore dell’immaginario dell’animazione nipponica. Prendendo quest’ultimo elemento come aspetto saliente dell’analisi, la figura più vicina è Azmaria Hendrich di Chrono Crusade (Daisuke Moriyama), capace di curare qualsiasi ferita grazie alla sua voce angelica.

 
Oltre ad essere fisicamente simile alla bambina portoghese, la piccola suora possiede poteri analoghi e conferma l’importanza della parola per il dominio della conoscenza e la formazione delle coscienze individuali e collettive. Un analogo processo di sedimentazione di dati è alla base di altre opere fantasy di recente pubblicazione. “Letter Bee” (Hiroyuki Asada) racconta le vicende di Lag che viaggia per consegnare lettere che contengono il “cuore” (cioè i sentimenti e i ricordi) dei mittenti; “Il libro di Bantorra” (Ishio Yamagata) è ambientato in un Paese fantastico nel quale le anime dei defunti si trasformano in veri e propri testi custoditi in una biblioteca. Il caso più simile per argomento e sviluppo narrativo è senza dubbio “La Bibliotheca Mystica de Dantalian” (G. Yûsuke / Gakuto Mikumo), dove Huey eredita un’antica proprietà in rovina e con essa anche la biblioteca che conserva il sapere proibito dei demoni. In “A Certain Magical Index” troviamo la stessa visione indiscriminata dell’insieme dei poteri occulti, monitorati dall’organizzazione anglicana Necessarius (La Chiesa del Male Necessario) che ha base a Londra, nella cattedrale di San Giorgio. Tale organismo segreto non intende danneggiare Index ma piuttosto proteggerla dagli attacchi dei nemici e a questo scopo invia due membri della Chiesa d’Inghilterra per cancellarne la memoria dei fatti quotidiani e preservare la banca dati relativa alla decodifica dei testi.
Stiyl Magnus è un prete dai lunghi capelli rossi, fumatore, pieno di piercing, con le dita inanellate e un codice a barre tatuato sotto l’occhio[2].
 
 
Utilizza le rune per creare dei cerchi magici entro i quali sprigionare le sue fiamme. In questa pratica – e nella sua realizzazione a livello visivo – si fondono diverse tradizioni esoteriche: 1) La prima influenza viene ovviamente dal mondo celtico, dove l’alfabeto futhark era impiegato nei rituali o per scrivere messaggi segreti. Si pensava che il potere delle lettere potesse essere fruito a diversi livelli, ossia sfruttando il loro valore fonetico oppure la loro forma e quest’ultima modalità era considerata la più semplice perché poteva raggiungere anche i non-iniziati. I druidi scrivevano i testi su dei pezzi di legno e poi li spargevano al suolo per praticare la divinazione. 2) In maniera analoga ma rifacendosi all’universo nipponico, Stiyl lancia delle carte-sigillo in modo da delineare il proprio perimetro d’azione. Nella cultura popolare in generale e in particolare nel panorama dei manga e anime contemporanei si rintraccino moltissimi esempi di questa tecnica ma i casi più vicini sono sicuramente quelli che coinvolgono Abe no Seimei, personaggio storico-leggendario vissuto presumibilmente tra l’VIII e il IX secolo all’antica corte di Heian (Kyôto). Sfruttando le conoscenze della mistica dell’onmyôdô, in ogni versione animata, egli traccia una stella inscritta in un cerchio che abbraccia tutta la città minacciandone la distruzione. Tra le molteplici incarnazioni del sacerdote, la più simile a Stiyl sia caratterialmente sia fisicamente è quella proposta in “Otogizôshi” di Narumi Seto[3], in cui si mostra sotto le mentite spoglie dell’attore girovago Mansairaku e dimostra di padroneggiare diverse capacità sovrannaturali.
 
3) Tenendo presente la specificità ignea e l’uso simbolico del cerchio, la mente va al colonnello Roy Mustang, l’Alchimista di Fuoco in “Fullmetal Alchemist” (Hiromu Arakawa), anche se il parallelo tra i due si limita alla tipologia di arte magica controllata e al fatto che entrambi indossano una divisa, ma c’è da notare che, parlando di uniformi clericali da combattimento, la maggior parte dei manga (“Trinity Blood” o “D-Gray man”, ad esempio) s’ispirano a quella storica dei cavalieri templari e quindi il parallelo migliore resta quello tra Stiyl e Abel Nightroad di “Trinity Blood” (Kiyô Kujyô). Il cognome Magnus, comune nell’onomastica medievale europea potrebbe rifarsi ad Alberto Magno, famoso teologo del Tredicesimo secolo che postulava la convivenza pacifica tra religione e scienza.
 

La compagna di Magnus nella missione contro i maghi è Kaori Kanzaki, una santa spadaccina che era stata papessa della Chiesa di Amakusa, una setta che verrà presentata in modo più esauriente nella seconda serie dell’anime (adattamento dei light novel dal settimo al dodicesimo volume).
Essendo giapponese, Kanzaki mescola le tecniche di lotta (fisica e metafisica) occidentali a quelle orientali, rifacendosi a una vasta tradizione di kunoichi (donne ninja) nella cultura pop nipponica e utilizzando un’arma bianca lunga due metri.[4] Basandosi soltanto sulle somiglianze esteriori, si potrebbe ottenere un’approssimazione dall’incontro tra Kagura di “Ga-Rei” (Hajime Sawaga), la cacciatrice “Shana di Shakugan no Shana” e Revy di “Black Lagoon” (Rei Hiroe), anche se l’uso dell’arma bianca in questa serie è appannaggio della killer cinese Shenhua. [5]


 
A completare il gruppo c’è Motoharu Tsuchimikado[6], un vicino di casa e compagno di scuola di Tôma: sia il suo carattere spigliato sia l’aspetto fisico sono complementari a quelli di Kamijô e ne costituiscono un giusto contraltare, evidenziando la funzione ricorrente di Tsuchimikado come spalla del protagonista, mentre il suo vero ruolo di spionaggio per diverse istituzioni viene rivelato solo  durante l’ “Angel Fall Arc”, quando cerca di individuare le cause di un misterioso slittamento che ha mescolato i corpi e le personalità di tutti gli abitanti del pianeta e nel quale sembrano coinvolti anche i membri della Chiesa Ortodossa Russa.

 
Il filone fantascientifico è incentrato su Mikoto Misaka e sull’esperimento genetico di clonazione della sua forza. La ragazza possiede la straordinaria capacità di generare elettricità e la sua potenza viene sfruttata da un gruppo di ricercatori della Città Studio, intenzionati a far progredire un altro soggetto, denominato Accelerator, l’unico in grado di raggiungere il livello sei della scala di misurazione delle facoltà ESP e quindi inserito fin da bambino in un programma d’addestramento speciale. Allo scopo di farlo evolvere, i medici creano in laboratorio dei cloni della Misaka originale solo come bersagli di combattimento. Questo scenario coniuga diversi temi ricorrenti nella sci-fi contemporanea, nipponica e non solo. Per quanto riguarda Misaka e le sue sorelle ci sono due aspetti da considerare: da un lato abbiamo la ragazza-arma che alimenta con le sue mille varianti il genere del cyborg / gunslinger (e il primo riferimento visivo in questo caso è sicuramente Chise di “Lei, l’Arma Finale” [Shin Takahashi]); dall’altro c’è l’immagine del minaccioso esercito di replicanti (ricordate le schiere di “Robo-Liu” in una puntata di Futurama?).
 


 
Il triste passato d’isolamento di Accelerator, “che un tempo aveva un nome normale, persino banale” lo rende simile alla sua vittima, mostrando la freddezza delle istituzioni secondo uno schema che ritorna in moltissime opere di diverso genere: dal bellissimo seinen psicologico “Monster” (Naoki Urasawa) all’horror “Hitsuji no Uta” (Kei Toume) fino al recente “Mawaru Penguindrum”.  Ovviamente qui tutto si risolve per il meglio, con Touma che scopre l’unicità nascosta in ciascuna delle copie di Misaka e Accelerator che, dopo aver ucciso 10.000 “sisters”, si redime salvando l’ultimo prototipo, denominato Last Order (con una chiara allusione ad Alita, la guerriera del celebre manga di Yukito Kishiro).
Anche il ciclo minore intitolato “Deep Blood” sviluppa il tema della diversità, partendo però da un contesto totalmente opposto e sfruttando una serie di presupposti che derivano dall’occulto.  I tre episodi introducono Aisa Himegami una genseki – cioè una persona che ha acquisito naturalmente i propri poteri psichici, senza l’ausilio di supporti artificiali – e, dato che può attirare e uccidere i vampiri, è sempre stata rinchiusa (come Suu in “Clover” [CLAMP]). Quando incontra Touma per la prima volta, la ragazza ha l’aspetto di una sacerdotessa scintoista. Lui la libera e la porta alla Città-Studio, dove viene accettata in una scuola per soggetti particolari.[7] In questo modo – almeno nel corso della prima serie – l’accenno a un elemento horror va perso e appare abbastanza inutile, e anche l’iniziale legame di Aisa con la religione tradizionale giapponese e con l’alchimista Aureolus Izzard, probabile discendente di Paracelso.


 
Le varie trame scorrono parallele, collegate solo dalla presenza di Kamijô, stereotipo privo di spessore psicologico del “normale studente” poco brillante che si rivela un paladino senza macchia, disposto a salvare chiunque sia in difficoltà, anche a costo della sua stessa vita. Anche le sottotrame ruotano intorno a tale principio morale, inserendo ulteriori elementi che poi però non vengono sviluppati a fondo, limitandosi a presentare una serie di personaggi e problematiche che rimangono in sospeso, infittendo l’interscambio tra il piano spirituale e quello scientifico. La corrispondenza di fattori è evidente nel cosiddetto “Ciclo di Hyôka Kazakiri”: Hyôka Kazakiri è un’entità virtuale nata dall’aggregazione della bioelettricità dispersa dagli ESP che esercitano i loro poteri psichici all’interno della città.
La cultura popolare ha classificato questi esseri come mostri o come “angeli”, abitanti di una dimensione parallela chiamata “Settore del Numero Immaginario”. Lo scontro tra l’onnipresente Tôma e la maga Sherry Cromwell getta una luce su un interessante retroscena, coinvolgendo il capo supremo della Città Studio e svelandone le reali intenzioni: creare un “Paradiso artificiale”attraverso l’accumulo di dispersioni elettriche. Il filosofo e sociologo Hiroki Azuma parlava dell’evoluzione di una narrativa i cui personaggi sono basati sull’incrocio di diversi dati all’interno di un gigantesco archivio di fruizione. Nel caso di Aleister Crowley, la ricerca di elementi occulti (evidente nella scelta del nome) s’interseca con l’ampia letteratura sul panopticon che, partendo dal classico “1984” di George Orwell arriva fino all’anime “Psycho-Pass”, annunciato come novità autunnale di Rai 4.
 
Naturalmente si potrebbe fare una piccola digressione sulle molteplici forme assunte da “Alesteir Crowley” nei manga e anime giapponesi, ma è forse più opportuno rimandare questo tipo di analisi a dopo, dato che molte implicazioni saranno svelate solo nel corso della seconda serie di “Index”; per ora, quindi torniamo un momento a Sherry e all’uso dei principi della cabala ebraica nella creazione dei golem.
Secondo la leggenda, chi era a conoscenza dei nomi di Dio e del testo sulla creazione dell’Uomo poteva creare un gigante d’argilla manipolando i segreti dell’alfabeto ebraico applicati allo studio dell’anatomia umana. Il golem
era una sorta di schiavo dalla forza straordinaria, che eseguiva alla lettera gli ordini del suo padrone. Tale figura ha influenzato molto gli ambienti culturali dotti – da Wagner a Mary Shelley fino a Luis Borges – ed è diventata un archetipo ricorrente anche nel pop, sia negli Stati Uniti sia in Giappone. [8]  Tra le molte rivisitazioni, se ne possono evidenziare due apparentemente opposte: (1) la creatura costruita da Camel Munzen in “Shaman King” (Hiroyuki Takei) è un robot capace di modificare il proprio aspetto e le capacità secondo le necessità di combattimento. (2) I golem che compaiono nell’anime di “Soul Eater” sono esseri artificiali plasmati con la terra nella quale è stata infusa la magia e sono manovrati dagli enchanter (fabbricanti di pupazzi) del villaggio ceco di Loew[9]. Quest’ultima impostazione basata sul sovrannaturale più che sulla scienza è simile a quella proposta in “A Certain Magical Index, in cui Sherry Cromwell evoca il suo servitore, Ellis, tracciando sei simboli magici sul terreno, esattamente come avviene per le barriere rocciose erette con l’alchimia in Fullmetal Alchemist (Hiromu Arakawa).



Gli energumeni artificiali costituiscono un punto di congiunzione ideale tra scienza e magia, con la stessa logica ipertestuale che inserisce la storia del dottor Frankestein nella trama della serie televisiva “Once Upon a Time”, e le sue implicazioni pratiche in “Index” trovano una prosecuzione strategica nella seconda stagione dell’anime.

Tutto considerato quindi, i primi 24 episodi servono soltanto a introdurre i diversi bandoli dai quali poi si svilupperanno gli archi narrativi principali che, congiungendosi grazie alla semplice presenza ricorrente dei due protagonisti, un’intricata ucronia tra presente, passato e futuro.



[1] Un’altra forma sintetizzata di “chiesa ambulante” è la croce celtica degli anglicani.
[2] Un character design che ricorda molto il fotografo freelance Badô di Dogs – Bullet & Carnage (Shirow Miwa).
[3]  Specie nell’arco di Tôkyô, ambientato ai giorni nostri.
[4] La nodachi è una tradizionale spada lunga a due mani.
[5] Shana, infatti, usa una nodachi mentre Revy – detta “Two Hands” – maneggia due pistole cutlass.
[6] Il cognome è quello del clan che storicamente prese il controllo dell’onmyôdô nell’undicesimo secolo, quando le pratiche esoteriche furono dichiarate illegali in Giappone.
[7] Dal punto di vista esteriore, Aisa Himegami può essere accostata alle numerose sacerdotesse che popolano gli anime giapponesi da Kikyô di “Inuyasha” (Rumiko Takahashi) a Rei di “Sailor Moon” (Naoko Tateuchi): tale somiglianza è dovuta alla pettinatura chiamata “himegami” [capelli di principessa] utilizzata dalle donne nello shintoismo.
[8] L’etimologia del termine significa “materia grezza; embrione”, mentre in “Index” il nome della maga potrebbe essere un omaggio alla scrittrice gotica, dato che in giapponese le parole “Sherry” e “Shelley” si traslitterano nello stesso modo (シェリー)
[9] Il legame tra il golem Ellis e la terra è reso anche attraverso l’uso di colori prevalentemente scuri nelle scene di combattimento. Tale scelta cromatica è infatti in contrasto con la fredda brillantezza azzurra della battaglia contro il golem di luce all’inizio della seconda stagione di “A Certain Magical Index”

domenica 14 luglio 2013

ANA PAULA RIBEIRO TAVARES


Considerata un’esponente di spicco della “Generazione dell’Indipendenza”, è nata nel 1953 a Lubango, nell’Angola meridionale. Ha studiato Storia e poi Letterature Africane nelle università di Luanda e Lisbona. Ha pubblicato quattro volumi di poesie (Ritos de Passagem; O Lago da Lua; Diz-me coisas amargas como frutos ed Ex-votos), una raccolta di cronache, pensate inizialmente per essere lette nel corso di un programma radiofonico (O sangue da buganvília), e un romanzo (A cabeça de Salomé).

 

Da: RITOS DE PASSAGEM

 

Il mio amato arriva e mentre si toglie i sandali di cuoio

Segna col suo profumo i limiti della mia stanza.

Libera la mano e barche mi crea senza meta sul corpo.

Pianta alberi di linfa e foglie.

Si addormenta sopra alla stanchezza

Cullato da un moto breve della speranza.

Mi porta arance. Con me spartisce gli intervalli della vita.

Poi se ne va.

[…]

Lascia perduti come un sogno i suoi bei sandali di cuoio.

Non conosco niente del paese del mio amato.

Non so se piove né sento l’odore delle arance

 

Gli ho aperto le porte del mio paese senza fare domande

Non so quale stagione fosse

Il mio cuore è grande e aveva fretta

Non gli ho parlato del paese, dei raccolti né della siccità

Ho lasciato che bevesse del mio paese il vino il miele la carezza

Gli ho popolato i sogni di ali, piante e desiderio

Il mio amato non mi ha detto niente del suo paese

 

Strano paese dev’essere

Il paese del mio amato

Poiché non conosco nessuno che non sappia

Il momento del raccolto

Il canto degli uccelli

Il sapore della terra al mattino di buonora

 

Niente mi ha detto il mio amato

È arrivato

Vive nel mio paese non so quanto a lungo

        Curioso, lui ci sta bene

E se ne va.

Torna con l’odore di un paese differente

Torna con i passi di chi non conosce la premura.
  
 
   (trad. A. Aletti) [Antologia della poesia pt e br, Gruppo editoriale L'Espresso, 2004, p. 825]

 

martedì 9 luglio 2013

I FIND IT HARD, IT'S HARD TO FIND / Tales from Tenochtitlán #2


 
 
Potrei facilmente usare una frase come ritornello per esprimere i sentimenti che scoppiettano come bolle in superficie: “Certo che lo amo ancora, qualunque cosa questo significhi”.

Potrei citare di nuovo Auden, e sembrerei solo un’inguaribile romantica, attaccata a un fantasma che nemmeno conoscevo.

Ma no, ho deciso di stupire tutti uscendo dal seminato e prendendo in prestito un’altra canzone, un’altra oscurità. “Stop me, oh, stop me /Stop me if you think that you've heard this one before / Nothing's changed / I still love you, oh, I still love you / ...Only slightly, only slightly less than I used to, my love” cantava la Regina prima di morire.

E io non ho nulla da dedicare a K, se non i soliti riti di tristezza-barra-autocommiserazione che mi fanno diventare un po’ come lui. E cerco di capire. Cerco di capire qualcuno che non ha scelto di morire ma ha semplicemente trovato una botola nel sole e un fucile nel frigorifero. Posso accendere incenso e mettere sul piatto delle offerte le emozioni che vengono dal profondo del cuore, dalle viscere brucianti, dalle mie uova fossilizzate (uova di drago, uova d’angelo appena sotto la pelle, nella zona compromessa della femminilità).

La gente ha innalzato a spettacolo circense gli spasmi che seguivano quella neve bianca che si scioglieva nelle sue vene e la visione di una scatola di farmaci vuota – Sexus, Nexus, Plexus … Fluxus. Tutto può essere esposto come una curiosità televisiva: i moderni aruspici prediranno la disgrazia nell’infezione delle interiora calde ma al momento del martirio spegneranno i riflettori. Mi preoccupa il dono dell’ubiquità che hanno certi morti non estinti. Non parlo di luoghi fisici, della polverizzazione del corpo in un mausoleo buddhista, tra le foglie autunnali di un parco o dentro l’imbottitura di un orsetto di pezza, ciò che a volte mi turba è la presenza molecolare del pensiero che resta ad aleggiare nello smog delle città, nei frammenti minimi della storia. Tiro le fila di queste speculazioni filosofiche mentre il segnale orario oltrepassa le quattro e, dalla radio, la Vedova mi violenta le orecchie. Dovrei spegnere e prepararmi per uscire, ma aspetto che parta la canzone successiva: non voglio che l’impurità si accumuli come cerume. 

Faccio girare nel microonde il Gatto Polenta pieno-pieno di semi di ciliegia, per avere un po’ di conforto tiepido. Bevo mate al limone. Ho ricordi di carta e ritagli di famiglia. Niente che possa soddisfare il principio dello Scambio Equivalente. Mi annullo. Mi vesto di nero, scendo al mercato, compro peperoni rosso / verdi per la cena di Cassy.

Protetta da un’armatura anti-radiazioni, cucino il mole messicano da accompagnare a un hamburger di pollo: peperoncino, cioccolato, cannella, cumino, arachidi …

Le vacanze della figlia di Hortensia lasceranno un retrogusto amaro nella salsa: «Quest’anno andiamo in Yucatán» … Un villaggio turistico a pochi passi dalla meraviglia ed io bloccata in perenne stand-by. È così inutile sprecare la mia totale devozione di viti e trazioni ortopediche con la tortura dell’immobilità!

 

In strada, un’incerta perifrasi mi aveva raggelato: «Ti vedo meglio» Mi sto ancora allenando ad accettare l’evidenza dei fatti. È un lavoro difficile – un passo avanti e due indietro. È come saltare sulle canne di bambù appuntite per non cadere nelle fonti maledette dell’antica Cina: se scivolo perderò la mia identità. Qualcuno mi voleva prescrivere un sostegno morale sintetico ma sono scappata, correndo sulla corda del funambolo, sfidando le pozze con il mio volo marziale.
 
 

Ci vuole coraggio anche per varcare la soglia della decisione. Se ti trema la mano e non hai un compagno fidato con una spada, non ti resta che procedere da solo da sinistra verso destra e poi spingere la lama in alto.

Oppure vivere per sempre con il tuo peso.

http://youtu.be/hTWKbfoikeg
http://youtu.be/naos7it_bl0
http://youtu.be/WF466sNuCbE
http://youtu.be/curus9CZxag

mercoledì 3 luglio 2013

STICKY LIKE GLASS


È bello lanciarsi nelle cose quando sono ancora agli inizi. E io sono arrivato un po' troppo tardi, questo è chiaro... Ma da un po' di tempo ho la sensazione di arrivare quando tutto sta finendo... e il meglio è già passato dice Tony Soprano contando le pastiglie di Prozac nel flaconcino arancione. Per me è così: la mia vita è la ballata degli eterni ritardi.

 

3 APRILE Guardo la data sul calendario e faccio un cerchietto nero due caselle più in là. Non vorrei sbagliare giorno: devo prepararmi, compattare l’aura nera che mi circonda, comprare fiori e sigarette, accendere incenso giapponese e candele al lampone.

Vorrei fare una cheesecake al cioccolato e fragole perché a Cassy hanno regalato delle uova di Pasqua, da sciogliere per trovare la sorpresa (così io ho due ciondoli a forma di cuore e li uso come amuleto magico contro la tristezza).

Navigo su internet cercando una ricetta dolce-dolce, ma gli ostacoli di design sono difficili da superare se hai pochi mezzi e sei costretta a indossare protezioni chirurgiche anti-schizzo.  “Accidenti, non ho uno stampo apribile!”. L’esemplificazione nel video fa venire in mente una vergine di Norimberga venduta a un postribolo. “… Devo chiederlo a Hortensia. O inventarmi qualcos’altro!”

Trovo della vecchia gelatina nello sportello “Chissà se può sostituire la colla di pesce” – misteriosa sostanza agglutinante per creste punk chilometriche, ossa triturate strappate al banchetto della decomposizione.

 

La vicina ascolta paziente i miei slanci culinari «Scusa, ma non puoi comprare del budino alla vaniglia?» «Ci ho pensato, ma ho letto che l’aroma di vaniglia è ottenuto modificando chimicamente lo sterco di mucca. Oppure, nel migliore dei casi, si utilizza la segatura dei mobili: mi fa un po’ impressione!»

«Beh, comunque io non ho la tortiera apposta. E poi dovrebbe essere alta»

[Quand’ero bambina, d’estate mangiavamo spesso un dolce allo yogurt da mettere in frigo. La domenica mattina andavamo al supermercato e poi montavamo quella strana panna bianca da mescolare con un gusto a piacere, ed era una festa di gocce dense e briciole di biscotto burrose, mentre ascoltavamo la musica che usciva a caso dalla radio].

 

Torno scoraggiata nella mia stanza e apro la finestra virtuale su un nuovo anime cyberpunk.  Lascerò scorrere la ending fino alla fine  - La voce androgina di Gackt mi arriva dalla post-Apocalisse; cado in un micro-mondo azzurro-seppia mentre il resto della casa è immerso in un buio disabitato … non ho nessun cavaliere che mi salvi con una rosa tra i denti.

 

 Cassy non smetterà di lavorare prima delle nove. E poi ci saranno ancora dei documenti da compilare prima di poter scambiare due parole … Così è la vita burocratica – Sospiro e mi svuoto.

21.22. la chiave gira nella serratura. Racconto le mie disavventure gastronomiche come un’emula disastrata di Gordon Ramsfield «Ma lo abbiamo, quel tèsto. Io un tempo le facevo, le torte sai?»

“Ma quando? Nel 1972 forse.”

 

Provo a immaginare Cassy e Altair felici in una cucina fatta di cartoni e cassette per la frutta rovesciate – garofani rossi in un vaso e uccellini sul davanzale della finestra. Il loro amico Pyros, in qualità di Grande Gigante Gentile, coltiva basilico sulla spiaggia combattendo le onde a colpi di pietra … mentre io all’epoca fluttuavo ancora nel limbo delle ipotesi future. Dopo sarebbe arrivata un’Alissa gulliveriana a giocare invidiosa con il figlio del colosso, un Principino che dormiva in un letto istoriato come la polena di un galeone pirata, circondato da modellini tanto grandi da sembrare rubati direttamente a Legoland, perfetti, ordinati e spolverati sulle mensole danesi della sua stanza.

 

No, la fantasia mi porta lontano e mi rende ingiusta. Infondo ho sempre avuto un dessert per il mio compleanno. Voglio dire, prima.

Prima d’impazzire. Prima di scomparire.

Ora ho la pelle trasparente di un neonato che attraversa gli oggetti e spio il corpo curvo di D arrampicato su di una sedia con gli occhi spenti di un asceta. In basso, sui fornelli, un coperchio di vetro sibila ed esplode nel verde smeraldino degli spinaci.

Trasformata in statua piangente, compio un rapido miracolo di ritirata. Nei miei incubi, sarò costretta a mandar giù aguzza verdura già pesata.

Ho già frammenti di mercurio smerigliato nel sangue. Istintivamente i denti cercano il frammento di specchio che, secondo le antiche credenze, doveva farmi diventare una divinità e invece è rimasto incastrato nel labbro, a lasciar cicatrici nel sistema circolatorio. Scruto il piatto quando, poco dopo, la campanella del pranzo mi richiama all’ordine «Fa attenzione! Se inghiottissi una scheggia, ti si potrebbe bucare lo stomaco!»

Proprio le stesse parole scritte sul bugiardino delle pillole che devo prendere ogni settimana seguendo il rituale. …

L’acido alendronico, intrappolato in un’innocua capsula, è talmente potente da perforare l’esofago se ci si sdraia subito dopo averlo assunto. WARNING! Pericolo di corrosione! ma la caffeina diminuisce il potere d’assorbimento – Ogni medicina ha il suo antidoto, ogni supereroe la sua critponite.

Per evitare uno scioglimento interno in stile mafioso, ogni giovedì mattina per trenta minuti mi dedico a catalogare il caos cosparso sul pavimento, peso due grammi d’orzo solubile e lascio che i succhi si assestino nelle viscere dell’organismo.
http://youtu.be/4B5zmDz4vR4
http://youtu.be/FjiZmMF5RtU