venerdì 31 maggio 2013

CARBONARA BHUTANESE



Spaghetti integrali (…)




Peperone rosso e una striscia di giallo

Cipolla

Gambo verde della cipolla

Semi di senape

Senape in salsa

Salsa di peperoncino

Burro

Uovo





Cuocere la verdura tagliata a pezzi piccoli (stufata)

Aggiungere i gambi verdi tagliati a striscioline

Aggiungere i semi che avete lasciato riposare un po’ nell’olio

Aggiungere due gocce di salsa di peperoncino e uno schizzo di senape

Cuocere gli spaghetti per 15 minuti senza spezzarli

Buttarli nella padella (meglio un wok) e rompere un uovo

Far saltare per 5 minuti, aggiungendo un pezzetto di burro e un pizzico di sale rosa dell’Himalaya.



VELLUTATA DI ZUCCA


Zucca


Zucchine

Porro

Panna liquida

Noce moscata

Semi di senape

Parmigiano









Bollire le verdure e poi passarle con il frullatore a immersione lasciando qualche pezzo più grande

Aggiungere i sapori, la panna e il formaggio e cuocere ancora per qualche minuto

Se lo avete, guarnite con una fogliolina di basilico fresco.

giovedì 30 maggio 2013

DEXTER IN MY KITCHEN / THE ANTICHRIST'S CHEMISTRY


Verrà la morte e avrà i tuoi occhi - /Questa morte che ci accompagna/ dal mattino alla sera, insonne, / sorda, come un vecchio rimorso / o un vizio assurdo. Cesare Pavese




18.34 Bevo un mate guardando fuori dalla finestra. L’aria è ancora chiara e polverosa.

Prove tecniche di primavera.

Io

Sono grigia.

Indosso una t-shirt dei Ramones sotto il maglioncino di lana e accendo svogliatamente la tv sul notiziario: HABEMUS ANTI-CHRISTUM! Il papa nero si affaccia al balcone travestito da colomba, e parla del Diavolo e dei suoi Arciduchi come se li avesse incontrati in metropolitana. A piedi nudi sul pavimento freddo, ascolto le conseguenze di una sana rieducazione spirituale. La prova dei fatti darà ragione alle profezie? Dovrei infilarmi un paio delle calze, se non sorelle per lo meno simili. Ho i brividi e i lividi blu dell’anima si fanno più scuri. Nel vuoto.



Premo i tasti PAUSE / START

«Chi è che canta? Chi suona?»

Ho placato per un attimo le paranoie economiche per comprare l’ultimo disco firmato da Dave. C’è una nota di felicità floreale nelle domande garrule di Cassy, ma io annaspo sull’abisso, confondo la voce della persona che mi ha salvato tante volte spazzando via le nuvole nere. Sparo la prima risposta possibile, mettendo insieme un collage di nomi drenati di significato. Mi gira la testa e quando leggo la tracklist è troppo tardi: avrei fatto meglio a tacere. Avrei fatto meglio a coprire i buchi indecenti della mia memoria.

Tutto è collegato. PAUSE / START

Anche se cerco di recuperare terreno – ai miei occhi più che a quelli di lei – l’atmosfera è ormai completamente rovinata perché D ha lo sguardo di pietra, le rughe contratte in un’espressione amara: si è accorta del mio dolore sordo, nonostante io abbia respirato a fondo per dimenticare gli sbagli e ricominciare da capo. Silenzio.

«Ecco, con te non posso mai parlare spontaneamente!»

È un atto d’accusa, ma non siamo al Tribunale dell’Inquisizione: non sono una santa ma se affonderemo, lo faremo insieme. Ho fatto sforzi inimmaginabili per smettere di essere invisibile; ho tentato disperatamente di svanire.

Mi sento una stronza. Ok, magari sono una stronza

Non dovrei dare peso alle piccole cose senza importanza. «Ti sto odiando per questo tuo atteggiamento!»

È un sasso scagliato contro la mia ombra.

Distruggerò tutto prima che qualcuno si accorga delle mie vergognose lacune. Dimenticherò come si respira e come si cammina e tutto sarà più semplice.

Voglio chiudere gli occhi e dormire. Forse avrei solo bisogno di una vacanza!

Ho preparato il curry giapponese ma ho scordato di aggiungere la mela. Ennesima scossa dei neuroni sconnessi, Alzheimer precoce.

Cassy taglia due spicchi rossi e farinosi e li fa a pezzi per cuocerli ma la mia rabbia trattenuta la fa esitare, le fa allungare la mano per buttarli via.

Le blocco il polso per mischiare la polpa bianca alla salsa marrone: non posso sciupare la foto da pubblicare in rete; se ho talento, i miei followers mi loderanno: balsamo per le ferite che genera altre ferite, cicatrici su cicatrici. Sul braccio di mia madre resta un segno viola, sul cuore un'altra ecchimosi. Siamo dentro le nostre bolle d’aria velenosa, sempre in equilibrio precario su di un filo teso tra due fallimenti. Siamo incompatibili, dato che abbiamo vissuto troppo vicine e distanti anni luce, con interessi in comune e imperfezioni conflittuali.



I rapporti con gli estranei non sono molto diversi, solo che con gli altri trovo più in fretta il modo di lenire il dolore prima di scoprire i denti.



Cambio scena. PAUSE / START

Interno sbiadito, il giorno dopo.



«Nell’ultimo pezzo, ho corretto una tua citazione» Il tono di Ondine è dolce e carezzevole come il gusto di una merendina al fiordilatte. Osservo le sue mani gesticolare, la bellezza delle sue unghie tagliate all’americana. Abbozzo un sorriso nervoso: « Anche le migliori sbagliano», ma le parole non escono naturali.. La guardo, occhiali vintage, viso pallido. Aspetto l’epilogo del mio micro-disastro privato, giocherellando con la punta di un cutter: incisioni minime sul palmo della mano, riflesso automatico che prelude a meravigliosi effetti speciali, fuochi d’artificio rossi-rossi. Penso alla reazione di D di fronte alle mie sbandate incontrollate. È sempre la stessa, triste, impotente, con un retrogusto professionale: «Tu sei malata. Disturbata. Distorta»

... Come una radio fuori sintonia.

http://youtu.be/uFOyOOvbPU0

lunedì 27 maggio 2013

ÓSCAR HAHN


S’infilano allora le ragazze in giardino, / piene di pioggia.


Sono stato tutta la notte in piedi davanti alla tua porta / aspettando che uscissero i tuoi sogni.

E mi volano via le linee dalla mano / Le mani dal mio corpo.

E sono l’annuncio pubblicitario di me stesso / che annuncia un bel niente.

La pioggia entra dai buchi della mia memoria.

Tutte le ossa dicono patiscono accusano

Innalzano torri contro l’oblio […] L’osso è un eroe della resistenza.

Come ho fatto / io perso, senza bussola naufragato / ad arrivare in porto con le vele rotte?

E una voce dirà: Non lo sai? / Lo stesso vento che ruppe le tue navi /fa sollevare in volo i gabbiani.

Come i personaggi di Pessoa / siamo anime senza corpo.

E non so nemmeno se ci sarà un monumento / alla memoria di quel nostro amore://nient’altro che un terreno vuoto / e una nuvola di polvere.

Forse l’amore non è nient’altro che questo // una donna o un uomo che scendono da un vagone / in una qualsiasi stazione del metrò // che risplende per qualche secondo/ e si perde nella notte senza nome.

MODI DI TORNARE A CASA Alejandro Zambra



Esistono momenti nei quali non possiamo, non vogliamo perderci.


Leggere è coprirsi la faccia. E scrivere è mostrarla.

Silenzio bello e riparatore.

Innamorati del fallimento, le ferite erano trofei.

I genitori abbandonano i figli. I figli restano o se ne vanno, ma comunque se ne vanno. È tutto ingiusto, soprattutto il rumore delle frasi, perché il linguaggio ci piace e ci confonde. Perché infondo vorremmo cantare o almeno fischiettare una melodia.

Avevo scoperto un mondo nuovo. Un mondo che non mi piaceva, però era nuovo.

È meglio non essere il personaggio di nessuno. È meglio non comparire in nessun libro. [...] Io ho già preso la decisione di non proteggermi.

Quando scriviamo ci comportiamo come figli unici. Come se fossimo sempre stati soli.

Ho sempre pensato che non possedevo veri ricordi d’infanzia, che la mia storia stava tutta in poche righe.

…. Ascoltare musica, o non ascoltare niente, perché a volte restavo a lungo in silenzio come se apprettassi qualcosa, come se aspettassi qualcuno.

… Una spia che non sapeva bene che cosa voleva trovare. [ …] In quel periodo la gente cercava persone, cercava i corpi di persone che erano scomparse.

… I gesti che faceva, addentrandosi senza paura nel passato. Mi piacerebbe che qualcun altro scrivesse questo libro.

Imparare a scrivere la propria storia come se non facesse male. Questo ha significato per Claudia crescere: imparare a raccontare la propria storia con precisione, con crudezza.

Ximena aveva la faccia di chi aveva sofferto non un giorno o una settimana, ma tutta la vita.

Per quanto vogliamo raccontare storie altrui, finiamo sempre per raccontare la nostra.

È bizzarro, è stupido pretendere un racconto schietto su chicchessia, perfino su se stessi. Ma è necessario.

Scrivendo puliamo tutto, come se in questo modo andassimo da qualche parte.

Mi piace come si muove per la casa. Occupa lo spazio come se lo esplorasse.

Crede che a nessuno faccia bene tanta vicinanza con il passato. Che il passato non smetta mai di fare male, ma che possiamo aiutarlo a trovare un luogo diverso […] … Convivevamo con il dolore. […] Abbiamo sofferto e non dimenticheremo mai quel dolore, ma non possiamo neppure dimenticare il dolore degli altri.

Li costringevo a ricordare e poi mi ripetevo quei ricordi come se mi appartenessero. In un modo terribile e segreto, lei cercava il suo posto in quella storia.

Non domandiamo per sapere, domandiamo per riempire un vuoto.

Voglio farle desiderare una vita qui. Voglio intrappolarla di nuovo nel mondo da cui è fuggita. Voglio farle credere che è fuggita, che ha forzato la sua storia per perdersi nelle convenzioni di una vita comoda e ipoteticamente felice. Voglio farle odiare quel futuro placido nel Vermont.

Per un po’ restiamo lì, come malinconici prigionieri che accarezzano le sbarre.

Ha imparato fin da piccolo che nessuno ci avrebbe salvati.

Sento che nel mio linguaggio ci sono echi, ci sono vuoti.

Dedichiamo i giorni a ripassare un lungo elenco che enumera ciò che allora, da bambini, non conoscevamo. Ci crediamo innocenti, ci crediamo colpevoli, non lo sappiamo.

A volte abbiamo bisogno di vestirci con gli abiti dei nostri genitori e guardarci a lungo allo specchio.

Da anni ho scoperto che volevo una vita normale. Che volevo soprattutto stare tranquilla. Voglio una vita tranquilla, semplice. Una vita con passeggiate nel parco.

C’è dolore ma anche felicità nell’abbandonare un libro.

Eravamo stanchi di aspettare che qualcuno scrivesse il libro che volevamo leggere.

Ho creduto che cominciasse il momento dell’attesa in cui è possibile parlare solo dell’attesa.

Ora capiamo. Ma sappiamo poco. Sappiamo meno di prima.

Dovrei imparare a parlare al passato anche di me stesso. Ricordare le immagini nella loro pienezza.





venerdì 24 maggio 2013

LA MACELLERIA DEGLI AMANTI Gaetaño Bolán


Il bambino aveva il cuore puro e guardava la notte. Nessuno avrebbe saputo dire se fosse triste, allegro o semplicemente assopito. Era lì, posato nella massa del suo corpicino, come assorbito dal crepuscolo. Sempre, sondava il grande nero dell’anima, dove passano le comete. Ma lui, delle comete e dell’anima, e della sua nobiltà o volgarità, non sapeva niente. Conosceva solamente l’ombra, la tranquilla oscurità che lo avvolgeva, le feroci tenebre che lo mangiavano.



Nel cielo le nuvole somigliavano a grosse pecore nere. Sembravano bestie impazzite che strappavano l’azzurro ruotando su se stesse.



Ormai avrebbe dovuto essere forte come il macellaio Juan per affrontare il mondo e le sue chimere



Scomparsi i compagni del Partito. Scomparsi quelli che preferivano il rosso al nero. Scomparsi i compagni di lutto. Scomparsi i bandoneón che facevano ondeggiare la melodia di un domani. Scomparsi i manifesti. Scomparse le coscienze di uomini e donne che avrebbero preferito tagliarsi la gola piuttosto che cedere all’oppressore. Scomparse le poesie che accarezzavano la morte per scongiurarla meglio. Scomparsi i lenti ritornelli della Cvetaeva. Scomparsi il lirismo e la luna. Scomparsi il twist e il tango. Scomparsi i giorni febbrili, gioiosi e ardenti, i giorni delle insondabili speranze. Scomparsa Dolores

mercoledì 22 maggio 2013

MY BEAUTIFUL STALKER



La pioggia


Mi spinge a riempirmi la pancia di liquidi caldi. Come per una specie di omeostasi.

Lascio gocciolare i minuti sul roto-quadrante dell’orologio, guardando il mio viso giallognolo riflesso in una puntata de I Soprano.

«Ti sei svegliata stamattina e hai preso con te una pistola. Non ci sono dubbi: tu sei la prescelta» disse il bravo padre di famiglia armato di rivoltella.

«Che la Forza della Ricerca sia con te!» disse Trazorel-Kenobi dallo schermo liquido del mio cervello.



http://youtu.be/rjVYu_NCwh0


Se non fosse per senso del dovere, probabilmente non uscirei, ma Jane e Ondine sono a Milano – lanciate sul red carpet della celebrità artistica – e le chiavi dell’associazione pesano nella tasca del mio giaccone impermeabile. Puro lavoro concettuale dietro una tastiera, non so niente di prezzi e d’imballaggi. Demanderò tutto a Tony, il tuttofare. E poi c’è l’ennesima stagista. «Cioè, ero al bar e avevo preso un’insalata di farro. Ed era già tanta, no? E arriva questo cameriere che è amico di un mio amico – cioè, praticamente io non lo conosco – e mi offre una fetta gigantesca di torta alla panna! … Cioè, buonissima ma sto scoppiando!» Nicole si poggia una mano aperta sul maglioncino rosso, sul ventre piatto. Il campanellino d’argento che porta al collo tintinna. “Che fai, Tinker Bell, mi prendi in giro?”. Da anni non tocco dolci, se non con un pensiero amaro di voglia fantastica, e ora arriva questa universitaria splendente con il suo nome fragrante di bosco, le gambe lunghe, i ricci naturali e un curriculum costellato di master all’estero, e mi sbatte in faccia i difetti dell’imperfezione. «Sul serio vieni sempre a piedi? Ma casa tua non è lontana?» Annuisco per stoico automatismo.

Per la verità, ieri ho usato l’autobus.



Ho acceso la radio per isolarmi dal mondo e ho abbracciato il palo giallo / blu dell’obliteratrice. «Ehi!» Una voce mi picchiettava sulla spalla. Un sobbalzo. Non era il controllore. Lucretia mi stava di fronte e all’improvviso ho ricordato la bellezza dei suoi occhi chiari, il labirinto delle sue bugie compulsive e il disprezzo altezzoso con cui freddava ogni patetico sforzo da cavalier servente – «Quando fa così è meglio lasciarla perdere, quella» disse la Principessa della Luna Morta.

«Ah, che tela aggrovigliata tessiamo quando impariamo a ingannare» disse il bardo in calzamaglia dalla polvere delle mie nozioni scolastiche.



Una volta eravamo “migliori amiche”, ma lei era il tipo di persona che sente di dover continuamente abbellire lo squallore della realtà con un nugolo di storie impossibili. All’epoca ero tanto sola che, se avessi avuto ancora un atomo di “normalità”, avrei potuto chiederle un certo tipo di protezione da leggenda romantica, ma le sue fantasie erano piene di sudiciume. Tutte le bambine sognano di diventare spose-modello, incoronate di fiori nella chiesa consacrata di Gardaland. Quando sei piccola, nessuno ti spiega che non somiglierai mai alle attrici del cinema, che dovrai impugnare la spada per sconfiggere il drago e ottenere un regno di plastica, nessuno ti spiega quali sono i sentieri che puoi percorrere e quali invece sono off limits, sigillati da un nastro fluorescente.

«Keffai adesso? Dove lavori?» Periodicamente, Lucretia mi tende un’imboscata mascherata dai sorrisi. Adesso aveva la pelle troppo liscia ed era dimagrita – La sua silhouette patologicamente dimezzata raccontava che non se la stava passando bene. «Scrivo. L’ufficio è nei vicoli» Ho pensato: “Meglio tenersi sul vago e non cedere alla tentazione di incasinarmi di nuovo la vita.” Ho pensato: “Non salirò mai più su un bus, dovesse diluviare!”

Sono scesa a precipizio lanciandomi dietro un «Ti chiamo io» che sapeva di circostanza rancida. Ho fatto gli ultimi metri di corsa, sperando che Jane fosse arrivata in anticipo per sbrigare un po’ di faccende prima di partire. Le viscere si muovevano con uno sciabordio di risacca dolorosa e improvvisa, e non era semplicemente la zuppa di miso un po’ troppo abbondante che veniva rigettata in ondate solide. K diceva che l’amore è come un misto di acqua Evian e acido per batterie ed io stavo sperimentando la potenza di una reazione chimica non prevista, continuando a proiettare la luce azzurra di quello sguardo da pazza assetata di affetto.



Al tramonto, eccomi di nuovo alla fermata (tanto per infangare certi solenni giuramenti da panico).

Tenevo l’ombrello attaccato al corpo, quasi sospeso sulla testa, inondata dai riflessi verdi della tela cerata sotto i lampioni … come uno spiritello sotto la sua foglia di farfaraccio. Colpevolmente, ho teso un dito implorante verso un parabrezza arancione, controllando con un filo d’ansia il numero digitale sul display e la fila di passeggeri annoiati: niente pericolo.



Ieri. Sono tornata un po’ troppo presto, nel buio respingente.

La pioggia

Ha lasciato nel bagno un odore di sangue rappreso.

Storcendo il naso, ho steso i vestiti umidi sullo stenditoio rotto, ho spruzzato lavanda sintetica in tutte le stanze e ho cercato delle candele profumate, ma la puzza non se ne andava. Pesante come il piombo, mi sono buttata nell’abbraccio morbido / morboso della poltrona. Diventavo un gatto evanescente con i primi sintomi della Sindrome di Cotard che si presentavano violentemente fisici: emorragie immaginarie & organi scomparsi & pietrificazione senza memoria.



Passato in putrefazione.



















domenica 12 maggio 2013

RAGÙ DI VERDURA ALLA GRECA (per pasta)

Torsoli di cavolo


Bietole

Stracchino

Parmigiano

Formaggio di capra (se vi piace)

Menta

Semi di finocchio

Pepe



Maccheroni



Far bollire la verdura e poi metterla nel mixer insieme ai sapori

In una padella, unire stracchino, parmigiano e una puntina di formaggio di capra con un filo d’olio perché non attacchi

Cuocere la pasta a vostro gusto (dato che a me piaceva scotta, l’ho lasciata circa 15 minuti e poi ho spento l’acqua e l’ho fatta riposare per altri 5)

Versare la pasta nella padella e mescolare bene aggiungendo un cucchiaio dell’acqua di cottura della pasta

Servire guarnita da qualche fogliolina di menta fresca.



POLPETTONE DI CARNE IN SFOGLIA



Carne trita

Verdura verde

Uovo

Parmigiano

Curry

Pepe



Sfoglia (integrale)



Mettere nel mixer gli ingredienti

Tagliare a metà la sfoglia e riempire al centro (strizzate bene!)

Richiudere schiacciando i bordi

Bucherellare con la forchetta e cospargere con sale grosso e un filo d’olio

Cuocere per 20 minuti nel forno a 200°

Passare qualche minuto in padella con un po’ d’olio

Accompagnare con contorno d’insalata e asparagi guarniti con una salsa di curry e yogurt

IL SIRTAKI DEL BRUCALIFFO




Libreria. Le tentazioni mi stringono il cuore.


Leggo l’incipit di un romanzo. Lo poso. Ne prendo un altro. Lo poso.

Mi sento male, invasa da una tristezza senza nome. Divento pesante come una pietra e sprofondo nell’abbraccio avvolgente di una poltrona ergonomica. Le righe danzano davanti ai miei occhi che si spostano senza obiettivo. Respiro – mi dissolvo lentamente.

Guardo l’orologio del cellulare sperando che le cifre digitali possano strapparmi a questo sottile supplizio intellettuale.

Dimitris mi aspetta per le sei al solito Cocktail Bar – insegna anonima che identifica un miliardo di locali sul pianeta.

Non lo vedo da mesi: da quando si è auto-esiliato in Spagna.

Entro nella veranda coperta e lo identifico subito, seduto sotto il fungo metallico della stufa. Dev’essere per lo meno al terzo martini perché, circonfuso dall’aurea del suo nome “fottutamente psichedelico”, arrotola le parole, discutendo con Eloisa. Il ritmo cadenzato del castigliano iberico condito di chiusure catalane si mescola all’italiano e all’accento scattante di una leggendaria nonna greca, creando una cantilena dolce.

Paradossalmente la barba gli ha ammorbidito i lineamenti e anche i suoi gesti si sono fatti più fluidi e teneri, senza essere volgari.

Sta recitando animatamente il rosario delle sue ultime conquiste amorose, quasi tenesse una rubrica piena di stelline rosse. Le mani si muovono come farfalle di fumo mentre i piedi tamburellano di freddo dentro alle Converse di tela estiva. Sembra un batterista della passione carnale nel bel mezzo di una rullata.

Ho sempre avuto l’impressione che la sua incostante ricerca di una soddisfazione emotiva, oltre che fisica, fosse in qualche modo complementare alla mia ostinata astensione. L’estrema empatia rispecchia la rupofobia da anacoreta.

Mi avvicino al tavolo buttando lì un saluto e uno sguardo distratto agli stuzzichini vegetariani impalati in un piattino. Mi siedo e lascio che la conversazione mi scorra piacevolmente sulla pelle: voglio davvero bene a questo ragazzo, forse soprattutto per la musicalità della sua voce.

Il chiacchiericcio degli altri clienti mi distrae: le elezioni, il populismo degli insulti gratuiti – chi urla e chi bela –, il papa spapato … Eloisa dice: «Il centro sociale studentesco ha organizzato “l’Abdication Party” ma è troppo reggae per i miei gusti». Anch’io ho visto i manifesti: “ A noi piace ricordarlo così”, in una serie di purikura da Esorcista. … Se si registrasse un campionario di discorsi da aperitivo, si avrebbe una buona descrizione di un Paese-colabrodo, dove le situazioni diventano tanto grottesche da far invidia al realismo mágico.

«Come si fa a dare fiducia a uno che grida sempre?» Bisogna strillare per farsi sentire al di sopra del

volume troppo alto dei video sul televisore ultrapiatto nella sala di vetro – martellio costante di unz-unz e sfilate di ninfette discinte: anche questo, forse, spiega cosa siamo. Infondo ci meritiamo la nipote di Mubarak!

Sorseggio il mio tè con uno sguardo vuoto da Lepre Marzolina. È quasi ora di tornare a casa?

Una pioggerella sottile cade sui marciapiedi, fuori dalla protezione della nostra piccola serra iperbarica. Una patatina unta e dorata mi fluttua davanti al naso prima di sparire tra i denti bianchissimi della mia amica. Gli occhi di Dimitris sono arrossati dal tizzone di una sigaretta girata a mano, in flagrante infrazione dei divieti governativi. «Mi sa che l’unica è pasticciare la scheda» Butto lì, tanto per posticipare il momento dei saluti – Baci & Abbracci & “Ci-Vediamo-alla-Prossima”. Un conto è camminare col buio, per due o tre chilometri; ma farsi tutto il tragitto bagnata come un pulcino indifeso non mi attira per niente. «Dài! Non si fa! Io voto per il Movimento!» I punti esclamativi di Eloisa hanno la certezza granitica degli spot pubblicitari passati in loop su internet. «Mah, ci penserò …» So già che domani mattina scandaglierò la rete cercando di scoprire quale bugia sembra più promettente.

Nel mondo esterno, l’aria è tornata a essere immobile.

Dimitris s’infila il suo giubbotto di pelle leggero, armeggia coi tasti dell’I-Phone e ordina due pizza a domicilio per il proseguo della serata, al quale io non mi aggrego. Sull’angolo, sovrastata dalla severità neo-neoclassica del Museo di Scienze Naturali, mi separo dal gruppetto.

Sola. Le forze di dispersione hanno agito ancora sulla molecola instabile di un’amicizia catastrofica.

In alto, la luna è cerchiata dall’alone delle gocce recenti; in basso, i fari descrivono esplosioni in Boccioni-style.

“Ciò che desidero soprattutto nella vita è dormire” disse il lampionaio accendendo e spegnendo la luce una volta al minuto.







http://youtu.be/A16VcQdTL80

lunedì 6 maggio 2013

CHEESECAKE PHILADELPHIA & YOGURT



Biscotti Oro Saiwa


Burro



Philadelphia

Yogurt (fragola + stracciatella)

Colla di pesce

Farina di riso (+ latte)

Panna da montare

Baccello di vaniglia



Zucchero a velo

Fragole

Limone



Base

Far sciogliere un bel pezzo di burro (circa 100 g)

Frullare nel mixer i biscotti e poi, in una terrina, unire il burro fuso e impastare bene

Stendere sul fondo della tortiera apribile e mettere in frigo (livellate i biscotti con il dorso di un cucchiaio)

Il video della ricetta consigliava di mettere sul fondo un pezzo di carta da forno, ma penso sia più pratico imburrare la teglia!



Crema

Mettere prima a bagno una confezione di colla (24 g) in acqua fredda.

Incorporare alla panna scaldata con la vaniglia (il baccello, ovviamente si butta!)

Versare in una terrina GRANDE con il Philadelphia (160 g), lo zucchero ( una busta di zucchero a velo (30 g) e tre vasetti di yogurt (io ne avevo due alla stracciatella e uno alla fragola, ma dipende dai vostri gusti e dalla frutta che volete usare come decorazione)

Dato che così com’è, il composto è ancora troppo liquido, aggiungete altri biscotti tritati (circa mezza striscia) e, se ancora non andasse bene due cucchiai di farina di riso passata al microonde con un po’ di latte per un minuto (questa è una misura in extremis!)

Sbattere tutto con le fruste o il frullatore a immersione facendo attenzione perché schizza molto

Versare sulla base e lasciare in frigo MINIMO QUATTRO ORE




Decorazione

La decorazione è a piacere: io ho usato delle fragole

Ho aggiunto una salsa di fragola fatta scaldando delle fragole con un po’ di limone o di limonina e due bustine di zucchero.

Cospargere le fragole tagliate sulla torta di zucchero a velo usando un setaccino per farlo scendere in maniera uniforme.

Aggiungere al centro qualche fogliolina di menta fresca



LA MATEMATICA DEI FLUIDI


Rari momenti di atmosfera festosa mi fanno sentire in colpa.


27 febbraio. Il mese più corto si avvia alla conclusione senza il suo codazzo quadriennale di superstizioni e la città sonnecchia sotto una pioggerella che promette una pazza primavera. Il termometro salta da un estremo all’altro confondendo ogni nozione di “guardaroba” e il riscaldamento nella scuola è troppo alto (Che cosa disdicevole, sudare d’inverno!) Norman ha portato qualcosa per celebrare in classe il compleanno della maestra Chieko e tira fuori una piramide geometrica di bicchieri di plastica e una bottiglietta di Coca Cola Zero. «Ne vuoi un po’?» Ha i capelli di un azzurro marino intonato al colore della maglietta e lo sguardo acceso dietro le lenti degli occhiali. La sua sincera gentilezza mi commuove. È chiaro che ha preso una bibita dietetica pensando a me.



Esito … «Potrei, ma non abbiamo un misurino …» Il difficile è apparire disperatamente anoressica senza sembrare una snob antipatica. Mi hanno appena accettato nella loro comunità e devo ancora affinare l’arte sottile di rimanere ai margini senza precipitare nell’abisso dell’indifferenza. Norman –

la sua limpida scintilla di vita – e Chieko – la pelle luminosa quanto l’ambra che porta al collo – stanno tendendo un filo da funambolo, invitandomi a sfidare il vuoto. Di ogni cosa al mondo, il “cuore” è la più indispensabile dice la Bibbia di Amberground; e una pallottola spirituale visualizza i miei ricordi proiettandoli sulla lavagna avvolgibile appesa alla parete. In Messico, un gioielliere mi aveva mostrato la sua collezione di resine fossili: un affascinante campionario di trasparenze mielate che bloccavano lo scorrere lentissimo delle ere, creature estinte dormivano un sonno da Bella Addormentata nelle loro fragili teche in attesa di un principe archeologo, api intrappolate per l’eternità in una ciambellina Cheerios croccante. Ero stata tentata di comprare una di quelle meraviglie uniche, anche solo per non dimenticare le strade polverose e tranquille di Puebla, i bastioni coloniali di Campeche e il sapore della salsa al cioccolato e peperoncino che avevo assaggiato con la punta della lingua, spezzando l’ennesimo divieto auto-imposto. Ma alla fine non l’ho fatto, non sono riuscita a scegliere una di quelle capsule per escluderla dalla sacralità del suo sonno geologico. Era un’altra epoca ma il sole – il sole che era entrato roteando nel suo quinto ciclo – si alimentava già di una luce malata, minacciando distruzione e assorbendo le preghiere della terra.

A casa, ho sistemato in una ciotola alcuni sassolini rubati ai piedi dei grandi templi aztechi: anche loro sussurravano una storia che era diventata un po’ mia.

Con un arsenale di pietre immaginarie, ho costruito un ponte verso la realtà deformata, che per un attimo è tornata in asse.



« … Però se fossi brava nei calcoli, sapendo che un bicchiere pieno contiene 200 cc, potrei berne due dita ... » Gli occhi di tutti i presenti s’illuminano di meraviglia.

Fisso il ciondolo immobile sul maglioncino beige dell’insegnante.

“Ecco, lo sapevo, ho fatto uno sbaglio” Mi affretto a fornire dettagli non richiesti, veri ma comunque patetici: «Basta che poi mi aggiusti con il conto di stasera, no? Per esempio togliendo un cucchiaino di yogurt …» Che disastro! Stringo i pugni. Alla fine l’ansia mi fa sbottare. «Adesso mi prenderete in giro, vero?» (Terrore irrazionale di essere completamente sputtanata su facebook la sera stessa: maledetti social network!)

La spuma nera è già versata. Frizza e mi lascia la sua dolcezza sintetica sulla lingua. Ormai è fatta! LET’S PARTY!

Intanto gli snack passano di mano. Aspro e piccante; lime e pepe rosa in una nuova combinazione molto fashion che ai miei tempi non era neppure concepibile … Vorrei che gli strappi alle regole fossero davvero consistenti, vorrei partecipare alla gioia collettiva di una scoperta consumistica ma i battiti si fermano sulla soglia della supposizione, il mostro della crisi fa capolino con le sue lame affilate da serial killer.

L’aspirazione alla normalità è sempre stata il mio movente preferito.

http://youtu.be/kHkr4pb8Hcc